Gli acquedotti di Roma nel Medioevo e nel Rinascimento



Visualizzazione ingrandita della mappa

Percorso degli acquedotti dei Papi sulla mappa satellitare di Google.
Sono evidenziati in rosso per la Paola alcuni tratti ancora esistenti, per la Vergine i tratti fuori del terreno visibili (l'acquedotto è funzionante).
Per la Felice il condotto su arcuazioni da Capannelle appena dentro al Raccordo Anulare (dove cambia bruscamente direzione dirigendosi verso nord-ovest) fino all'arco delle Pere (a ridosso della stazione Termini) è completamente integro (o quasi), e ho quindi deciso di non segnarlo con la linea rossa; dall'arco delle Pere alla Mostra del Mosé non è più esistente; pare che l'acqua Felice sia tornata a funzionare (Luglio 2009) fino al laghetto del Parco degli Acquedotti, riversandosi poi dal laghetto nel canale dell'acqua Mariana; questo almeno quanto ho letto sul sito dell'Ente Parco.

Sull'esatto luogo di captazione degli acquedotti

I tre acquedotti papalini di epoca rinascimentale prelevavano l'acqua dalle stesse sorgenti utilizzate dai romani.

Sul tracciato degli acquedotti

Per il percorso in sotterranea del Vergine ho utilizzato in prima approssimazione la piccola mappa diffusa dall'ACEA correggendola poi utilizzando i numerosi riferimenti che ho potuto rintracciare: i due tratti sopra il terreno e quelli in cui i putei sono ancora esistenti.
Per il tratto sotterraneo dell'acqua Felice fino a Capannelle e il percorso dell'acqua Mariana fuori Roma ho utilizzato la mappa realizzata da Ashby e pubblicata in The Aqueducts of Ancient Rome.
Informazioni sono riportate nei Comentarii di Frontino del Lanciani.

Acqua Mariana

Nel periodo medioevale di mezzo tra Impero Romano e Rinascimento gli antichi acquedotti, rimasti privi di manutenzione e danneggiati a più riprese, cessarono di funzionare; l’acqua Mariana anche nota come marana dell'acqua Crabra, era un fosso ancora in parte conservato scavato per volere del papa Callisto II nel XII secolo per portare l'acqua onde alimentare i mulini, abbeverare gli animali e irrigare i campi presso cui passava.
Il fosso dell'Acqua Crabra, di origine naturale, raccoglie l’acqua di Squarciarelli, della fonte Preziosa e delle altre sorgenti della zona che alimentavano anche gli acquedotti della Julia e della Tepula e si dirige all'Aniene attraverso il fosso di Tor Tre Teste.
L'acqua Crabra viene citata da Frontino quando descrive l'acqua Julia in De Aquis I.9:

Frontinus, de Aquis I.9
[...]
Praeter caput Iuliae transfluit aqua quae vocatur Crabra. Hanc Agrippa omisit, seu quia improbaverat, sive quia Tusculanis possessoribus relinquendam credebat; ea namque est quam omnes villae tractus eius per vicem in dies modulosque certos dispensatam accipiunt. Sed non eadem moderatione aquarii nostri partem eius semper in supplementum Iuliae vindicaverunt, nec ut Iuliam augerent, quam hauriebant largiendo compendi sui gratia. Exclusi ergo Crabram et totam iussu imperatoris reddidi Tusculanis, qui nunc, forsitan non sine admiratione, eam sumunt ignari cui causae insolitam abundantiam debeant. Iulia autem revocatis derivationibus, per quas surripiebatur, modum suum quamvis notabili siccitate servavit.
[...]


Frontino, le Acque I.9
Davanti alla sorgente della Julia scorre un ruscello che č chiamato acqua Crabra. Agrippa si astenne dall'utilizzarla (per la Julia), o perché costretto dalla sua scarsa qualità o piuttosto perché ritenne che dovesse essere lasciata ai proprietari del Tuscolo; questa in altri termini è l'acqua che tutte le ville di quel distretto ricevono in turnazione, erogata in giorni e quantità prestabilite. Ma i nostri fontanieri, trascurando di avere la stessa moderazione (dimostrata da Agrippa), hanno sempre preteso una parte di questa come supplemento per la Julia, non aumentando tuttavia la quantità della Julia stessa, poiché essi la sfruttavano disonestamente (deviandone le acque e) traendo profitto dai loro favori. Io quindi esclusi il ruscello della Crabra e per volere dell'Imperatore lo ripristinai totalmente alla disponibilità dei tuscolani, i quali adesso, forse non senza sorpresa, ricevono le sue acque senza conoscere a qual motivo ascrivere l'inusuale abbondanza. Inoltre l'acqua Julia interrotte le derivazioni, attraverso cui era segretamente rubata, ha mantenuto la sua normale quantità anche nei momenti di più straordinaria siccità.


All'altezza di Morena nei pressi dei ruderi di villa Centroni il fosso incrocia il condotto del Claudio; venne quindi realizzata una piccola diga in modo da convogliare parte dell'acqua dal fosso all'interno dello speco dell'acquedotto romano nel quale percorreva circa mille metri prima di riemergere ai limiti della tenuta Gregna; tale tratto è stato probabilmente distrutto in occasione della realizzazione dell'Anagnina o del suo ampliamento ed in ogni caso la derivazione non è più attiva.
In pratica grazie al condotto si portava l'acqua dalla vallata dell'Aniene alla vallata del Tevere, e tutta la cresta lungo cui corrono gli acquedotti da Capannelle a Porta Maggiore si può considerare come la linea di separazione tra le vallate dei due fiumi.
Dal casale Gregna venne realizzato il fosso artificiale che prese in seguito il nome di Acqua Mariana derivante probabilmente dal termine Marana o Marrana; questo giunge a Capannelle e da qui attraversa l'intero Parco degli Acquedotti, ondeggiando tra i percorsi di questi dapprima a fianco del Claudio e poi a fianco del Marcio e infine dopo il Campo Barbarico si manteneva alla sinistra del Claudio; è un fosso largo 2-3 metri racchiuso in un terrapieno a tratti alto 3 metri, ora completamente asciutto e ricoperto dalla vegetazione che si è conservato per lo meno fino al Campo Barbarico; si avvicinava alle mura lievemente discosto dagli antichi acquedotti e raggiungeva le mura Aureliane nei pressi di Porta Asinaria (a fianco di Porta San Giovanni) e proseguiva costeggiando esternamente le mura; entrava all'interno della cinta a Porta Metrovia che venne chiusa con una inferriata ed utilizzata solo per questo scopo e proseguiva verso Ovest lambendo le terme di Caracalla (dove oggi è la passeggiata archeologica) incuneandosi tra Aventino e Celio; da qui imboccando la conca del circo Massimo tra Aventino e Palatino raggiungeva il Tevere alla Bocca della Verità nei pressi dello sbocco della Cloaca Massima.

Medioevo a Roma - alcune note storiche sull'acqua Mariana.

Acqua Appia Tocia

Nel medioevo i Papi desideravano provvedere un sicuro approvigionamento di acqua alla loro residenza di San Giovanni in Laterano. Si legge dal libro pontificale che papa Nicolò I nel 858 fece eseguire i lavori per riattivare un antico acquedotto che faceva capo a spem veterem (tra porta Maggiore e Santa Croce in Gerusalemme) per condurre l'acqua al Laterano; secondo Lanciani l'unico acquedotto romano che arrivava in quella zona e che fosse realisticamente ripristinabile per le modeste risorse medioevali era quello dell'acqua Appia, in quanto gli altri erano troppo rovinati e troppo lunghi per poter essere ripristinati, mentre la sorgente dell'acqua Appia era a La Rustica, e quindi a pochi chilometri di distanza.
Lanciani scrive che all'angolo tra via Labicana e via di S.ta Croce in Gerusalemme, sull'angolo di villa Wolkonski e a pochi metri dagli archi neroniani, venne rinvenuto un cunicolo che procedeva nei resti sotterranei della città e, troncando colonne, marmi e pareti antiche, seguiva il tragitto degli archi neroniani andando a terminare sotto l"Osteria del Cocchio" in Piazza San Giovanni; la notevole negligenza di chi eseguì gli scavi del cunicolo farebbe pensare ad opere molto anteriori a Sisto V, tanto più che quel precipitoso papa avrebbe senz'altro fatto realizzare il condotto in superficie, risparmiandosi i lunghi scavi del cunicolo (si trova all'interno delle mura Aureliane), mentre in epoca medioevale era importante che l'acqua arrivasse in maniera sotterranea al "Ptochium" Lateranense (corrotto poi in "Tocio" dal popolo) in modo da evitare possibili danneggiamenti.
Il Corvisieri (dal giornale il Buonarroti 1870) ipotizza che l'acqua Tocia venne realizzata da papa Nicolò I nell' 858, e che il condotto rimase funzionante sino all'inizio del XII secolo; questo quanto riportato da Lanciani nei Comentarii (1880).
Successivamente altri archeologi (Platner, 1929) proposero diverse versioni, riconducendo all'acqua Marcia il nome dell'acqua riportato nei libri pontificali ed attribuendone i lavori ai papi Adriano I (772 - 795), Sergio II ( 844 -847) e ancora Nicolò I (858 - 867) (acqua Iocia).

Tabella riassuntiva degli acquedotti Rinascimentali a Roma

Nome dell’acquedotto Anno Costruzione Portata giornaliera Lunghezza
Acqua Vergine
(Aqua Virgo)
1453 Restauro dell'acquedotto Vergine nel solo tratto del suburbio romano (Niccolò V)
1570 Restauro a partire dalle sorgenti di Salone (Pio V)
21 km
Acqua Felice 1586 (Sisto V)
distruzione acquedotti Claudio e Marcio
72.000 mc 28,7 km
Acqua Paola 1605 - 1611
Parziale riutilizzo dell'acquedotto Traiano

Acqua Vergine

L'acquedotto Vergine è il medesimo acquedotto Romano restaurato più volte nel corso dei secoli.
Va' ad alimentare, un gran numero di fontane in Campo Marzio; tra le altre la fontana di Trevi, la fontana in piazza del Pantheon, quella dei "Quattro Fiumi" a piazza Navona e la "Barcaccia" in piazza di Spagna (che il Bernini costruì al di sotto della pavimentazione stradale per sopperire in qualche modo alla bassa pressione dell'acqua che lì arrivava).
Il Comune di Roma decise di utilizzarlo solo per l'alimentazione delle fontane e per l'irrigazione in quanto la volta del condotto non era più in grado di proteggere il condotto dalle infiltrazioni meteoriche e dai percolati provenienti dalla superficie densamente abitata e venne quindi costruito il nuovo condotto tra il 1932 ed il 1937 che porta l'acqua al serbatoio di Villa Umberto nel Parco di Villa Borghese da cui rifornisce il centro storico.

È stato costantemente danneggiato e restaurato nel corso dei secoli; venne danneggiato durante le invasioni dei Visigoti di Alarico nel 410 d.C. e dai Vandali di Genserico nel 455 d.C. ed ancora dagli Ostrogoti di Vitige nel 537 che interruppero definitivamente il flusso dell'acqua; sotto il pontificato di Adriano I (772 - 795) venne ripristinata l'acqua proveniente da Salone ma il funzionamento durò un breve periodo.
Ancora subì danni con gli assedi dei Saraceni, di Enrico VI nel 1081 e poi con Barbarossa nel 1167; tuttavia il fatto di essere completamente sotterraneo lo salvaguardò dalla totale devastazione che subirono gli altri acquedotti.
Papa Niccolò V nel 1453 affidò la sistemazione dell’antica Acqua Vergine a Leon Battista Alberti; l'acquedotto venne riattivato ma captava pochissima acqua prelevata nell'immediato suburbio di Roma da alcune scarse vene prese lungo il percorso del condotto a Bocca di Leone (che dovrebbe trovarsi circa duecento metri prima che la Collatina incroci la Palmiro Togliatti) e al ponte Salario, mentre le fonti di Salone si disperdevano nella campagna dell'Agro Lucullano creando un'ampia zona paludosa e confluendo poi nel vicino Aniene.
Successivi restauri vennero eseguiti nel 1484 con Sisto IV.
Nel 1559, era papa Pio IV, vennero stanziati 24.000 scudi distratti però dalle reali opere di restauro dalla truffa organizzata da Antonio Treviso da Lecce; morto il Treviso in miseria e morto anche Pio IV fu il successivo papa Pio V ad occuparsi dei lavori per la riattivazione del condotto.
Nel 1570 Pio V incaricò dei lavori una congregazione composta da Luca Peto, Orazio Naro e Giacomo della Porta presieduta dal Cardinal Giovanni Ricci; oltre a riportare in città l'acqua di Salone Luca Peto, Giacomo della Porta e Bartolomeo Gritti si occuparono della bonifica dell'area della contrada Trinità e piazza di Spagna che risultava ammorbata dall'acqua stagnante che fuoriusciva dal condotto (che era in seguito alla riattivazione del 1453 parzialmente funzionante); in seguito alle bonifiche tali zone, grazie anche alla presenza dell'acqua potabile, presero ad essere densamente popolate.
Nel 1580 con Gregorio XIII venne costruita una diramazione per alimentare i Rioni Sant'Eustacchio, Parione, Ponte e Campo Marzio.
Nel 1740-1744 l'architetto Niccolò Salvi spurgò l'antica muratura ricoperta di signino realizzata alle sorgenti per convogliare l'acqua nel condotto costruita ai tempi di Agrippa ed ancora oggi esistente ed allacciò ulteriori vene.

Acqua Felice

L'acquedotto che si vede dalla Casilina all'altezza del Pigneto e che molti chiamano acquedotto Claudio è in effetti l’acquedotto Felice che in quel tratto utilizza le fondamenta del Claudio, ma di quest'ultimo è rimasto ben poco di visibile. L'acquedotto Felice venne realizzato intorno al 1585 su commissione del papa Sisto V Peretti, il cui nome da laico era appunto Felice.


Già con Greogorio XIII si era costituita una società per condurre una nuova acqua nelle zone più elevate di Roma ma il progetto non venne portato avanti.
Sisto V emise il decreto per la realizzazione di un nuovo acquedotto il 5 maggio 1585, 11 giorni dopo la sua elezione; ai primi di ottobre del 1586 l'acqua già entrava nella sua villa Montalto, al Viminale; 5 mesi dopo l'acqua fece pubblica mostra in un bacino temporaneo di fronte S. Susanna.
L’acqua Felice utilizza più o meno le stesse sorgenti di Pantano Borghese dell’acqua Alessandrina; fu Matteo da Castello che pensò di riutilizzare le vene dell'Alessandrina antica e propose al papa di acquistarne le vene da Marzio Colonna; il suo tragitto anzichè seguire il percorso dell’Alessandrina venne portato lievemente verso sud a raggiungere la località di Capannelle onde sfruttare gli acquedotti romani che lì passavano; emerge a Capannelle all’altezza del Casale di Roma Vecchia; realizzato il condotto un errore nella livellazione non consentiva però all'acqua di fluire nella giusta direzione; venne allora chiamato Domenico Fontana a dirigere i lavori; questi trovò 52 nuove sorgenti più alte di quelle già allacciate ed in brevissimo tempo, quadruplicata la spesa iniziale, portò l'acqua in Roma.
Certo la spesa finale di 270.000 scudi sarebbe stata ben diversa se non avessero sfruttato gli antichi acquedotti romani Claudio e Marcio.
Lanciani scrive di ritenere che la Felice corra per un considerevole tratto (circa mille metri) nel rivo sotterraneo della Marcia, subito prima della emersione a Capannelle.
Da Capannelle a porta Furba furono sfruttate le fondamenta della Marcia e smantellate gran parte della Claudia e quasi interamente la Marcia per riutilizzarne il materiale da costruzione, come era purtroppo prassi comune nel Rinascimento; i piloni della Felice sono quasi tutti poggiati sui piloni della Marcia; caratteristica della Felice è l'alternanza di un fornice più grande e di uno più piccolo; ogni pilone della Marcia, lungo 510 centimetri incluse le riseghe delle fondamenta, sorregge due piloni della Felice includendo il fornice di luce inferiore; il fornice di luce maggiore corrisponde invece all'originario fornice della Marcia.

L'acquedotto Felice al Parco degli AcquedottiAlta Risoluzione

L'acquedotto Felice al Parco degli Acquedotti; si osseva l'alternanza delle arcate una piccola ed una grande.


Dopo porta Furba, lungo via del Mandrione che qui coincide con l’antica stradina di servizio, attraversava la strada e andava ad appoggiarsi sul Claudio (ancora esistente e che rimane molto più alto) per circa 500 metri, quindi di nuovo sulle fondamenta del Marcio per 200 metri ed infine definitivamente sul Claudio fino all’arrivo alle mura di Roma; ancora per mille metri circa la Claudia resta integra fino allo speco poi, dopo il tratto nel terreno della Banca d'Italia, scompare e rimane solo nei piloni di sostegno della Felice.
Arrivata a Porta Maggiore l’acqua Felice proseguiva secondo il tragitto già seguito dall’acqua Marcia lungo le mura Aureliane; passata la Porta Tiburtina si separava dalle mura della città e dopo 100 metri piegava bruscamente verso il centro di Roma; qui, a Piazza Sisto V, in fondo a via Marsala aveva il suo principale arco monumentale; il muro laterale della stazione Termini è stato costruito esattamente attaccato all’arco; tra le mura Aureliane e l’acquedotto Felice rimane il giardino triangolare di una villa rococò risalente al 1750 circa ed attribuita all’architetto Raguzzini.

La Felice arriva a porta Maggiore 17 metri più in alto dell’Alexandrina
La profondità massima del rivo sotterraneo è di 15,61 metri, l'altezza massima dei fornici di 16 metri.
Le sorgenti sono ad una altezza sul mare di 65 metri e l'altezza dello speco alla mostra di Termini (fontana del Mosé) e di 59 metri.

Ha due archi monumentali: il primo passando la Tuscolana (Porta Furba) ed il secondo alla stazione Termini, detto "Arco delle Pere"; poco oltre, in Largo Santa Susanna, su un lato di piazza San Bernardo è la monumentale fontana del Mosè ed il suo castello di distribuzione; una seconda fontana venne realizzata per i viandanti a Porta Furba, restaurata in occasione del restauro dell'acquedotto avvenuto nel 1733.



Acqua Paola

Sotto Papa Paolo V nel 1612 i resti dell'acqua Traiana vennero sfruttati per realizzare l'Acqua Paola che portava acqua al Vaticano, a Borgo e a Trastevere; si occuparono dei lavori Giovanni Fontana Carlo Maderno e Pompeo Targone; sul Gianicolo stà la fontana monumentale di mostra, la Fontana Paola nota anche come "il fontanone del Gianicolo"; in seguito la distribuzione venne ampliata ai Rioni Regola e Ponte e venne realizzata una seconda mostra più piccola situata in piazza Trilussa sul lungotevere.
Lungo l'Aurelia Antica poco prima di arrivare alla mostra, quando l'acquedotto passa dal lato destro al lato sinistro della via, venne realizzato una sorta di arco trionfale; questo presenta la particolarità di essere asimmetrico nel suo spessore, in modo da accompagnare la curva della via, cosa che non si nota se non andando a misurare lo spessore dell'arco sui due lati.
Per la maggior parte del percorso rimane al di sotto del terreno ma in alcuni punti emerge su arcate: il condotto è visibile nella zona dove vengono captate le vene a Vicarello; emerge per un breve tratto appena oltre la stazione di Cesano in direzione di Roma in prossimità della linea ferroviaria dove è presente un arco che riporta gli stemmi papali; è visibile per un lungo tratto lungo l'Aurelia Antica prima di giungere alla fontana monumentale del Gianicolo, in parte utilizzato come muro di confine di villa Pamphili.

Fontana dell'acqua Paola

La mostra paolina, come ricordato nella targa marmorea apposta nell'attico, venne realizzata sotto il pontefice Paolo V Broghese nel 1612 anno settimo del suo pontificato, eseguendo un ripristino dell'antica acqua Alsietina (in realtà venne ripristinata l'acqua Traiana); questo il contenuto della targa:

PAULUS QUINTUS PONTIFEX MAXIMUS
AQUAM IN AGRO BRACCIANENSI SALUBERRIMIS E FONTIBUS COLLECTAM
VETERIBUS ACQUAE ALSIETINAE DUCTIBUS RESTITUTIS
NOVISQUE ADDITIS XXXV AB MILLIARIO DUXIT

ANNO DOMINI MDCXII PONTIFICATUS SUI SEPTIMO

È realizzata su progetto di Giovanni Fontana e Flaminio Ponzio con tre grandi nicchie centrali su cui si affacciano due finestre ed un balconcino e due nicchie più piccole laterali; tra le nicchie sono poste 4 colonne di granito rosso al centro e 2 di granito bigio ai lati, tutte provenienti dall'antica Basilica di San Pietro; i marmi policromi utilizzati vennero presi dal Foro di Nerva.
La fontana è ornata da aquile alternate a draghi e da alcune maschere; queste sono anche le figure contenute nello stemma papale sorretto da due angeli ed opera del 1610 dello scultore Ippolito Buzio che rimane visibile al culmine della mostra sopra la targa commemorativa ed autocelebrativa.
Nel 1690, quando era papa Alssandro VIII, l'architetto Carlo Fontana apportò alcune modifiche; venne realizzata la grande vasca che sostituì le cinque vasche separate precedenti e l'ampio terrazzamento belvedere e venne aperta la nicchia centrale, che era una finestra come le altre due laterali, realizzando il balconcino e meglio caratterizzando la fontana come facciata del retrostante palazzo, dove allora era l'Orto Botanico; tali lavori sono testimoniati dalla targa più piccola apposta all'interno dell'arco centrale della fontana.

Fontana mostra dell'acqua Paola al GianicoloAlta Risoluzione

La fontana dell'acqua Paola


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11 Aprile 2011