Catullo - poesie proibite
Canti profani
C. Valerio Catullo, carme 6 I segreti di Flavio
C. Valerio Catullo, carme 15 T’affido l’amor mio
C. Valerio Catullo, carme 16 Ad Aurelio e Furio
C. Valerio Catullo, carme 21 Aurelio, padre di tutti gli arrapati
C. Valerio Catullo, carme 23 Sei di già abbastanza felice, Furio
C. Valerio Catullo, carme 25 Tallo, checca bocchinara
C. Valerio Catullo, carme 32 Aspettami Ipsitilla
C. Valerio Catullo, carme 37 La taverna dei puttanieri
C. Valerio Catullo, carme 39 Nulla è più sciocco d’una sciocca risata
C. Valerio Catullo, carme 41 Ameana, l’amichetta di Mamurra
C. Valerio Catullo, carme 42 Restituiscimi i versetti lurida cagna
C. Valerio Catullo, carme 56 È stato un attimo
C. Valerio Catullo, carme 58 Lesbia pompinara
C. Valerio Catullo, carme 74 Lo zio di Gellio
C. Valerio Catullo, carme 80 Le candide labbra di Gellio
C. Valerio Catullo, carme 88 Gellio scellerato
C. Valerio Catullo, carme 89 Gellio è smagrito
C. Valerio Catullo, carme 94 Cazzo adultero
C. Valerio Catullo, carme 97 Emilio faccia di culo
C. Valerio Catullo, carme 98 La lingua di Vezio
C. Valerio Catullo, carme 111 La virtù di Aufilena
C. Valerio Catullo, carme 112 Nasone
Canti riferiti a Gellio: 74, 80, 88, 89, 90, 91, 116; in tutti i carmi Gellio viene attaccato da Catullo per i suoi rapporti incestuosi; potrebbe trattarsi del figlio del console e generale Lucio Gellio Poblicola, uno dei consoli che condussero l’esercito romano contro Spartaco e i suoi uomini nella terza guerra servile (73 - 71 a.C.), portato dal padre stesso in giudizio dinanzi al Senato per tale genere di accuse.
[traduzioni: Filippo Maria SACCA']
Gaio Valerio Catullo Carmen 6
Flavi, delicias tuas Catullo,
nei sint inlepidae atque inelegantes,
velles dicere nec tacere posses.
Verum nescio quid febriculosi
scorti diligis: hoc pudet fateri.
Nam te non viduas iacere noctes
nequiquam tacitum cubile clamat
sertis ac Syrio fragrans olivo,
pulvinusque peraeque et heic et illeic
attritus, tremulique quassa lecti
argutatio inambulatioque.
Nam nil ista valet, nihil, tacere.
Cur? Non tam latera ecfututa pandas,
nei tu quid facias ineptiarum.
Quare quicquid habes boni malique,
dic nobis. Volo te ac tuos amores
ad caelum lepido vocare versu.
I segreti di Flavio
Se non fossero indelicate e ineleganti, Flavio,
desidereresti parlar delle tue voluttuose delizie
al tuo Catullo e non potresti certo tacerne.
In verità non so qual disfatta puttana tu abbia
mai scelto: il vergognarsene è già una confessione.
D’altra parte che tu non giaccia in notti solitarie
lo grida a chiunque la tua stanzetta vanamente muta
fragrante di ghirlande di fiori e di balsami di Siria,
e di qua i cuscini sparsi ovunque e di là gli
strofinii, e i continui tremori che scuotono il letto
e gli scricchiolii di chi cammina avanti e indietro.
E non convinci affatto, a nulla serve tacere.
Perché? Non ti stiracchieresti i fianchi smagriti
da troppe scopate se non facessi qualche sciocchezza.
Dunque qualunque cosa tu abbia afferrato, dimmela,
che sia buona o cattiva. Coi miei allegri versetti
voglio portar te e i tuoi amori lassù, fino in cielo.
2] inlepidus: illepidus, a, um: sgraziato, indelicato, sgarbato, senza spirito;
7] nequiquam: non in qualche maniera; invano, indarno; senza scopo, senza motivo;
tacitum ... clamat: ossimoro;
17] lepidus, a, um: gentile, grazioso, amabile, carino, vezzoso, piacevole, giocondo, lepido; in senso negativo: lezioso; particolarmente riguardo forma e sostanza del discorso: grazioso, faceto, spiritoso.
Gaio Valerio Catullo Carmen 15
Commendo tibi me ac meos amores,
Aureli. Veniam peto pudentem,
ut, si quicquam animo tuo cupisti,
quod castum expeteres et integellum,
conserves puerum mihi pudice,
non dico a populo: nihil veremur
istos, qui in platea modo huc modo illuc
in re praetereunt sua occupati;
verum a te metuo tuoque pene
infesto pueris bonis malisque.
Quem tu qua lubet, ut iubet, moveto
quantum vis, ubi erit foris, paratum:
hunc unum excipio, ut puto, pudenter.
Quod si te mala mens furorque vecors
in tantam impulerit, sceleste, culpam,
ut nostrum insidiis caput lacessas,
a tum te miserum malique fati,
quem attractis pedibus patente porta
percurrent raphanique mugilesque.
T’affido l’amor mio
T’affido l’amor mio come t’affiderei me stesso,
Aurelio. Sol una gentilezza timidamente t’imploro,
se mai qualcosa nel tuo animo hai desiderato ardentemente,
per il quale invocasti l’innocenza e una tenera integrità,
che tu mi mantenga pulito questo giovinetto,
non dico dal popolo: ché non mi preoccupo di quelli,
che per la strada, chi di qua chi di là,
assorti nelle loro faccende passan oltre distrattamente;
in verità è te ch’io temo e il tuo cazzo assai molesto
pei ragazzi tutti, che sian buoni o cattivi.
Tu, quando lui te l’ordina e a te piace, lo ficcherai dove credi,
ovunque sarai, sempre che sia pronto in tiro, ma fuor di casa:
questo sol ragazzo, non chiedo molto, devi pudicamente scansare.
Poiché se la tua mente malata e la tua sconsiderata frenesia
ti condurranno, scelerato, a una così grave infamia,
tanto da aggredir slealmente la stessa mia persona,
ah, infelice, qual sciagurato destino t’attende,
afferrato per i piedi da quella porta spalancata
passeranno ravanelli e cefali argentati.
1] meos amores: si riferisce probabilmente a Giovenzio;
4] integellus, a, um: discretamente intatto; diminutivo di integer: intatto, integro, incorrotto, risparmiato dal saccheggio;
19] mugil, mugilis: muggine, cefalo (mugil cephalus); tale pesce veniva infilato nel deretano degli adulteri colti sul fatto, come punizione canonica (Catullo, Plinio);
Gaio Valerio Catullo Carmen 16
Pedicabo ego vos et irrumabo,
Aureli pathice et cinaede Furi,
qui me ex versiculis meis putastis,
quod sunt molliculi, parum pudicum.
5 nam castum esse decet pium poetam
ipsum, versiculos nihil necesse est;
qui tum denique habent salem ac leporem,
si sunt molliculi ac parum pudici,
et quod pruriat incitare possunt,
10 non dico pueris, sed his pilosis
qui duros nequeunt movere lumbos.
vos, quod milia multa basiorum
legistis, male me marem putatis?
pedicabo ego vos et irrumabo.
Ad Aurelio e Furio
Io ve lo ficcherò su per il culo e poi in bocca,
Aurelio succhiacazzi e Furio frocia sfondata,
che pei miei versetti pensate, sol perché
son teneri e gentili, ch’io sia poco pudico e virtuoso.
5 Giacché è appropriato per un poeta onesto esser casto
con sé stesso, ma nulla è dovuto dai suoi versetti;
i quali hanno ora e per sempre arguzia e grazia,
quando son tenerelli e un poco spudorati,
e riescono a risvegliar un certo pruriginoso desiderio,
10 non dico nei fanciulli, ma in quei vecchi pelosi
incapaci ormai d’inarcar la schiena rattrappita.
Voi, che avete letto de' miei innumerevoli baci,
pensate forse ch’io sia uomo perverso e poco virile?
Credetemi, ve lo ficcherò su per il culo e poi in bocca.
1] Secondo il più classico degli stereotipi, valido in ogni tempo, l’atto sessuale attivo è definizione di uomo virile; l’atto sessuale passivo ricevuto da un altro uomo è definizione di uomo effeminato, di mezzo uomo; Catullo non poteva arrecare maggiore offesa ai suoi avversari.
7-8] Salem ac leporem... molliculi ac parum pudici: Ecco le componenti secondo Catullo per realizzare una poesia che catturi l’attenzione dei lettori: salem, il sale, ossia l’arguzia, il divertimento che è parum pudici ovvero poco pudico e la grazia, leporem che è molliculi, tenero, delicato, tenerello, gentile, volendo anche femminile.
salem ... parum pudici: Catullo spiega quindi la funzione della oscenità nella sua poesia: questa dà il sale, il divertimento, l’arguzia al componimento.
11] qui duros nequeunt movere lumbos: che non sono più in grado di muovere i lombi ormai rigidi, insomma non riescono più a praticare il normale atto sessuale.
12-13] male marem: maschio poco virile; l’accusa che Aurelio e Furio fanno a Catullo è di essere un perverso, nel senso di passivo nei rapporti sessuali, quindi un pathicus o un molle cinaedus, esattamente ciò di cui li accusa Catullo nel verso 2. Tale accusa di passività sarebbe maliziosamente sostenuta dai due facendo riferimento ai versi sdolcinati del poeta; in particolare multa milia basiorum è un evidente riferimento al carme 5, dammi mille baci.
13] mas, maris: di genere maschile, maschile, maschio; in senso traslato: robusto, forte, virile, maschio; male mas: non virile, fiacco, Orazio, Catullo; contrapposto a femina.
14] pedicabo ego vos et irrumabo: Il poeta inizia e termina questo celebre carme con la minaccia nei confronti dei due denigratori Aurelio e Furio di praticar loro la sodomia e di costringerli alla fellatio dimostrandogli in tal modo di non essere effeminato; evidentemente seccato delle sciocche categorie mentali dei due, per cui scrivere dei versi teneri e femminili significherebbe automaticamente essere effeminato, esprime il proposito di mostrare ai due la sua mascolinità seguendo i soli canoni mentali che questi sembrano conoscere: io vi dimostrerò che sono un vero uomo, e per farlo ... pedicàbo ego vos et irrumàbo.
Gaio Valerio Catullo Carmen 21
Aureli, pater esuritionum,
non harum modo, sed quot aut fuerunt
aut sunt aut aliis erunt in annis,
pedicare cupis meos amores.
Nec clam: nam simul es, iocaris una,
haerens ad latus omnia experiris.
Frustra: nam insidias mihi instruentem
tangam te prior inrumatione.
Atque id si faceres satur, tacerem:
nunc ipsum id doleo, quod esurire,
(vae) me, mi puer et sitire discet.
Quare desine, dum licet pudico,
ne finem facias, sed inrumatus.
Aurelio, padre di tutti gli arrapati
Aurelio, padre di tutti gli arrapati,
non solamente di questi che conosci, ma di tutti quelli
che furono che sono e degl’altri che negl’anni verranno,
desideri inculare l’amor mio.
E non lo nascondi: non appena puoi, giocando da solo con lui,
ti strofini al suo fianco e le provi tutte.
Illuso: mentre architetti i tuoi agguati
io prima te lo ficcherò in bocca.
E se tu lo facessi da sazio, ancora potrei passarci sopra:
ma quel che ora mi fa incazzare è la tua fame immonda,
e che insegni al mio ragazzo, ah, che pena per me, ad aver sete.
Dunque finiscila qui, mentre sei ancora immacolato,
e non portarmi allo stremo, o continuerai con un cazzo in bocca.
1] pater esuritionum: padre degli affamati;
esurio, esurire, esurivi, esuritus: essere affamato; essere bramoso; desiderare ardentemente; evidentemente Catullo si riferisce metaforicamente alla fame di sesso, anche se apparentemente sembra rimproverarlo per il suo essere affamato, ossia povero, e quindi indegno della compagnia di Giovenzio
ion: suffisso; indica il risultato dell’azione del verbo
4] Il suo amore in questo canto è probabilmente il giovane Giovenzio;
8] tango, tetigi, tactum, ere: toccare; I) toccare fisicamente: toccare, tastare; toccare un luogo: giungere in un luogo; toccare afferrando, palpando pungendo: afferrare, palpare, battere, pungere, urtare, colpire; colpire aliquem: uccidere; toccare bagnando: spruzzare, ungere, bagnare, profumare; toccare in senso mitigato: prenedere, ricevere, assaggiare, bere, mangiare; II) toccare moralmente: commuovere, stimolare, far impressione; nel discorso: citare, pungere con discorso satirico; toccare qualcuno con effetto attivo, darsi a qualcuno;
8], 13] inrumare: irrumare;
10] nunc ipsum id doleo, quod esurire, vae) me, mi puer et sitire discet: ma ora quel che mi affligge è che insegni al mio ragazzo, ah, povero me, ad aver fame e ad aver sete.
Mi piace tuttavia attribuire la fame ad Aurelio e non a Giovenzio per tre motivi: rafforza e da' un senso completo al verso 9 (E se tu lo facessi da sazio, ancora potrei passarci sopra), mi consente di definire almeno una volta la metafora di Aurelio affamato, in quanto al verso 1 ho sostituito affamato con arrapato e infine pone in evidenza "aver sete", il cui significato resta alquanto oscuro; potrebbe forse riferirsi a quella pratica oro-genitale volgarmente nota come "ingoio".
11] vae: interiezione che esprime il dolore o lo sdegno: ah! ahi! guai!; vae mihi (dativo) guai a me!; vae te (accusativo) povero te! guai a te!
Gaio Valerio Catullo Carmen 23
Furi, cui neque servus est neque arca
nec cimex neque araneus neque ignis,
verum est et pater et noverca, quorum
dentes vel silicem comesse possunt,
est pulcre tibi cum tuo parente
et cum coniuge lignea parentis.
Nec mirum: bene nam valetis omnes,
pulcre concoquitis, nihil timetis,
non incendia, non graves ruinas,
non facta impia, non dolos veneni,
non casus alios periculorum.
Atqui corpora sicciora cornu
aut si quid magis aridum est habetis
sole et frigore et esuritione.
Quare non tibi sit bene ac beate?
A te sudor abest, abest saliva,
mucusque et mala pituita nasi.
Hanc ad munditiem adde mundiorem,
quod culus tibi purior salillo est,
nec toto decies cacas in anno;
atque id durius est faba et lapillis;
quod tu si manibus teras fricesque,
non umquam digitum inquinare posses.
Haec tu commoda tam beata, Furi,
noli spernere nec putare parvi,
et sestertia quae soles precari
centum desine: nam sat es beatus.
Sei di già abbastanza felice, Furio
Furio caro, non possiedi un servo e neanche del denaro
e non una cimice o un ragno né il calore d’un focolare,
ma hai un padre ed una matrigna, che a dire il vero
coi denti potrebbero triturar la pietra,
tu stai magnificamente con questo tuo genitore
e con quella moglie tua parente secca come il legno.
E non è poi così strano: state tutti assai bene,
digerite in modo eccellente, non temete nulla,
che siano incendi, o gravi sciagure,
o azioni infami, o perfidi veleni,
o alcun altro accidente che possa cagionar pericolo.
E ancora grazie al sole e al freddo e alla fame
avete corpi più rinsecchiti d’un corno
o di quel che di più inaridito esista.
Perché non dovresti star bene ed esser felice?
Non sai cosa sia il sudore, e neppur la saliva,
né il catarro nè lo sgradevole moccio del naso.
E a questa pulizia aggiungi quella assai superiore,
che il tuo culo è più lindo d’una salierina di vetro,
e non caca dieci volte in un anno; e quel che fai
è più duro d’una fava secca e dei ciottoli di fiume;
tanto che se lo sfregassi e stropicciassi tra le mani,
non potresti sporcarti neanche un sol dito.
Queste gradevolezze tanto fortunate, Furio,
non devi disprezzarle né ritenerle misere,
e finiscila poi d’implorare quei cento sesterzi
come al solito: sei di già abbastanza felice.
arca, ae: armadio, scrigno, cassa; forziere; denaro;
mucus, i: moccio, muco;
pituita, ae: umor viscido, pituita, muco, catarro, raffreddore, siero;
salillum, i: piccola saliera;
Gaio Valerio Catullo Carmen 25
Cinaede Thalle, mollior cuniculi capillo
vel anseris medullula vel imula oricilla
vel pene lanquido senis situque araneoso,
idemque, Thalle, turbida rapacior procella,
cum diva mulierarios ostendit oscitantes,
remitte pallium mihi meum, quod involasti,
sudariumque Saetabum catagraphosque Thynos,
inepte, quae palam soles habere tamquam avita.
Quae nunc tuis ab unguibus reglutina et remitte,
ne laneum latusculum manusque mollicellas
inusta turpiter tibi flagella conscribillent,
et insolenter aestues velut minuta magno
deprensa navis in mari vesaniente vento.
Tallo, checca bocchinara
Tallo checca bocchinara, più molle del pelo d’un coniglio
o della midollina di un’oca o dell’insignificante lobulo d’un orecchio
o del pisello moscio dei vecchi e d’un antro dimenticato coperto di ragnatele,
ma anche, Tallo, più rapace d’una oscura tempesta,
nel momento che la luna ti mostra ciondolanti donnaiuoli,
rendimi il mio mantello, con cui sei volato via, ladro,
e il fazzoletto di Sétabi e i ricami di Tìnia, che sei solito
ostentare in pubblico, sommo idiota, come fossero cose tue.
Molla la presa dei tuoi artigli, ora, e ridammeli subito,
se non vuoi che sulle tue chiappette vellutate e sulle tue mani mollicce
il mio flagello scarabocchi a fuoco l’ignominia,
e che tu debba inusitatamente fremere come il minuto guscio d’una nave
sorpreso dal vento furibondo nell'immenso mare spumeggiante.
1] mollis: molle; sottomesso, remissivo, mansueto; addomesticato; in generale il termine era riferito per indicare un uomo effeminato.
Thallus: Tallo, nome diffuso tra schiavi e liberti;
2] medullula. ae: midollina; diminutivo di medulla, midollo;
imulus, a, um: infimo, al di sotto di tutto; diminutivo di imus: il più basso;
oricilla: auricilla; lobulo dell’orecchio, lobo dell’orecchio;
4-5] Tallo è un ladruncolo che sfrutta il chiaro di luna per derubare qualche distratto donnaiolo;
5] diva: la luna; traduzione letterale: dea, divina, di natura divina;
mulierarios: la decifrazione del testo originale è incerta, a volte viene riportata come mulier aries o in altri modi
6] involasti: piombare sopra un possesso e impadronirsene, involare, portar via;
7] Saetabis, bis: Sétabi regione della Spagna celebre per i fini tessuti e i lini;
catagraphos: tessuti ricamati;
Thynus, a, um: Tinia, regione della penisola anatolica posizionata vicino alla forse più nota Bitinia;
10] latusculum, i: piccolo fianco, piccolo lato; diminutivo di latus; il lato può essere inteso come lato del corpo, ma anche in senso traslato come una parte del corpo e in tal senso l’ho interpretato come piccolo fondo schiena;
laneus, a, um: di lana; morbido, molle come la lana, vellutato;
12] minuta...magno: ossimoro; tuttavia in minuta navis in magno mari minuta è riferito alla nave e magno al mare, e quindi è un ossimoro, accostmaento di due termini antitetici, da un punto di vista sintattico estetico e musicale, ma non da un punto visto semantico in quanto i due termini contradditori si riferiscono a due soggetti diversi;
13] vesaniens , entis: furioso, furibondo, che infuria;
Gaio Valerio Catullo Carmen 32
Amabo, mea dulcis Ipsitilla,
meae deliciae, mei lepores,
iube ad te veniam meridiatum.
et si iusseris, illud adiuvato,
ne quis liminis obseret tabellam,
neu tibi lubeat foras abire,
sed domi maneas paresque nobis
novem continuas fututiones.
verum si quid ages, statim iubeto:
nam pransus iaceo et satur supinus
pertundo tunicamque palliumque.
Aspettami Ipsitilla
Ti amerò, mia dolce Ipsitilla,
mia delizia, mia incantatrice,
dimmi di venir da te a fare un riposino.
E se deciderai così, fammi questo favore,
non sprangare la porticina del tuo nido,
e non farti venir voglia di uscire,
ma resta in casa e preparati per
farci nove scopate ininterrotte.
In verità, se me lo vorrai chiedere, fallo subito:
giacché son qui sdraiato dopo pranzo e satollo pancia
all’aria col cazzo dritto sfondo tunica e mantello.
3] meridio, (avi), atum, are, (meridies): riposare, dormire dopo mezzodì, meriggiare.
5] limen, liminis: soglia; metonimia: soglia intesa come abitazione, dimora.
tabella, ae: genericamente diminutivo di tavola: piccola tavola, tabella, tavoletta.
Gaio Valerio Catullo Carmen 37
Salax taberna vosque contubernales,
a pilleatis nona fratribus pila,
solis putatis esse mentulas vobis,
solis licere, quidquid est puellarum,
confutuere et putare ceteros hircos?
an, continenter quod sedetis insulsi
centum an ducenti, non putatis ausurum
me una ducentos irrumare sessores?
atqui putate: namque totius vobis
frontem tabernae sopionibus scribam.
puella nam mi, quae meo sinu fugit,
amata tantum quantum amabitur nulla,
pro qua mihi sunt magna bella pugnata,
consedit istic. Hanc boni beatique
omnes amatis, et quidem, quod indignum est,
omnes pusilli et semitarii moechi;
tu praeter omnes une de capillatis,
cuniculosae Celtiberiae fili,
Egnati, opaca quem bonum facit barba
et dens Hibera defricatus urina.
La taverna dei puttanieri
Voi, bestie che frequentate quell’immonda taverna,
nove colonne dopo il tempio di Càstore e Pollùce,
pensate di averlo solo voi il cazzo, che solo a voi,
qualunque fichetta si presenti, sia concesso
scoparverla mentre gli altri son tutti cornuti?
O forse, dal momento che sedete in cento o duecento
tutti in fila come deficienti, credete che non sarei capace
di ficcarvelo in bocca a tutti e duecento quanti siete?
E allora sappiatelo: sul muro fuori della taverna
scriverò che siete tutti dei gran cazzoni.
La mia donna, fuggita dalle mie braccia,
lei, amata quanto nessuna mai sarà amata,
in nome della quale ho combattuto così grandi battaglie,
siede lì, tra voi. Ve la sbattete a turno, quasi che foste onesti
e rispettabili, ma in realtà, ed è questa la cosa atroce,
siete un branco di mezze seghe fallite e puttanieri da strada;
e tu sei il primo, Ignazio, fra tutti quei capelloni,
nato tra gl'innumerevoli conigli della Celtiberia,
che credi d’esser bello nascosto dalla barba incolta
e ti sfreghi i denti sciacquandoli con l'urina.
2] pilleatis fratribus: i fratelli imberrettati; i fratelli che portano il berretto di feltro; dalla mitologia greco-romana sono Càstore e Pollùce, i due fratelli gemelli figli di Zeus e di Leda, noti come Diòscuri; il tempio dei Diòscuri si trovava nel Foro;
pileum: berretto di feltro a forma conica utilizzato dai soldati di Sparta; essendo Càstore e Pollùce protettori della città indossavano tale berretto.
9] Atqui: congiunzione (at + quo) connette enfaticamente quel che precede con un asserto avversativo: al contrario, ma, sebbene, eppure, piuttosto; orbene, ebbene; in senso avversativo: ma se (ora); talora utilizzata per aggiungere un nuovo pensiero in conferma del precedente: gli è ben vero che; utilizzata per introdurre una assumptio, una propositio minor in filosofia, in un sillogismo, con valore deduttivo o conclusivo: orbene, ebbene, dunque, perciò, adunque, di conseguenza, e allora; atqui certe: ma almeno, ma (ora) cerrtamente.
Puto, avi, atum, are: in generale: computare, calcolare, valutare; pregnante in senso traslato: considerare, meditare, esaminare, ponderare, riflettere, vagliare nell'animo;
10] sopio, sopionis: pene o largo pene; associato alla caricatura di qualcuno, per dargli del "cazzone" ovvero del sempliciotto, fessacchiotto, buono a nulla, fannullone oppure del "testa di cazzo" inteso come di qualcuno che esprime pensieri e tiene comportamenti riprorevoli od anche forse intendendo qualcuno "che ragiona col cazzo"; oltre che in questo carme il sostantivo appare in un paio di graffiti murari rinvenuti a Pompei.
14] Pusillus, a, um: piccino, piccolino; propriamente di chi o cosa rimane piccolino, in miniatura; in senso traslato molto piccolo in estensione ed intensità, molto angusto: della voce: fioca, debole; di coraggio: timido, pusillanime; di sentire e pensare: piccolo, pusillo; riguardo alla stima di fronte ad altri: piccolo, da nulla, di poco rilievo; di oggetti: da nulla.
Gaio Valerio Catullo Carmen 39
Egnatius, quod candidos habet dentes,
renidet usque quaque. si ad rei ventum est
subsellium, cum orator excitat fletum,
renidet ille; si ad pii rogum fili
lugetur, orba cum flet unicum mater,
renidet ille. quidquid est, ubicumque est,
quodcumque agit, renidet: hunc habet morbum,
neque elegantem, ut arbitror, neque urbanum.
quare monendum est (te) mihi, bone Egnati.
si urbanus esses aut Sabinus aut Tiburs
aut pinguis Umber aut obesus Etruscus
aut Lanuvinus ater atque dentatus
aut Transpadanus, ut meos quoque attingam,
aut quilubet, qui puriter lavit dentes,
tamen renidere usque quaque te nollem:
nam risu inepto res ineptior nulla est.
nunc Celtiber es: Celtiberia in terra,
quod quisque minxit, hoc sibi solet mane
dentem atque russam defricare gingivam,
ut quo iste vester expolitior dens est,
hoc te amplius bibisse praedicet loti.
Nulla è più sciocco d’una sciocca risata
Ignazio, per esibire i suoi denti candidi, ride,
ride in ogni luogo e per qualunque cosa. Quando il colpevole
attende il giudizio, nel momento in cui l’oratore desta il pianto,
lui ride; se si assiste afflitti al rogo d’un figlio devoto,
mentre la madre orbata del suo solo ragazzo piange disperata,
lui ride. Per qualunque cosa, ovunque si trovi,
in qualunque momento che sia grave, ride, ride sempre:
ha questo difetto che non è elegante, io penso, e neanche cortese.
Dunque te lo devo proprio dire, mio buon Ignazio.
Se tu fossi uno di Roma o un Sabino o un Tiburtino
o un Umbro grosso o un grasso Etrusco
o un Lanuvino orribile e coi denti di fuori
o un Transpadano, per metterci anche i miei,
o uno di un qualunque altro posto, dove si lavano i denti con acqua pura,
pure ridere in ogni luogo e per qualunque cosa ti renderebbe antipatico:
poiché non c’è nulla di più sciocco d’una sciocca risata.
Ma tu sei un Celtibero: in terra Celtibera
quello che uno piscia, la mattina dopo lo utilizza
per strofinare a sangue denti e gengive,
così quanto più questi vostri denti son puliti,
tanto più si palesa il piscio che ti sei bevuto.
Celtiber, bera, berum: Celtibero
Celtiberi, orum: Celtiberi popolazione derivante dalla fusione di Celti e Iberici, nel centro della Spagna;
mingo, mingere, minxi, minctus: urinare, atto della minzione, da cui in italiano il verbo mingere;
lotium, loti: urina utilizzata per candeggiare e schiarire i vestiti;
Gaio Valerio Catullo Carmen 41
Ameana puella defututa
tota milia me decem poposcit,
ista turpiculo puella naso,
decoctoris amica Formiani.
propinqui, quibus est puella curae,
amicos medicosque convocate:
non est sana puella, nec rogare
qualis sit solet; est imaginosa.
Ameana, l’amichetta di Mamurra
Ameana, puttanella sfranta dal troppo sesso,
me ne ha chieste diecimila tonde tonde,
codesta troietta dal naso deforme,
amichetta del formiano fallito.
Voi parenti, a cui la ragazza è affidata,
convocate medici e amici tutti e riportatela in sé:
questa non è sana di mente, e neanche è abituata
a chiedere qual sia il suo prezzo; stà delirando.
defututus, a, um: (de + futuo); sfinito dalle scopate, stracco per la Venere, consumato da troppi rapporti sessuali, sfinito dalla eccitazione sessuale.
decoctoris amica Formiani: amica del dissipatore formiano: si riferisce a Mamurra.
decoctor, oris: dissipatore, bancarottiere, persona insolvente.
imaginosus, a, um: (imago) pieno di immagini, pieno di fantasia, che si abbandona alla fantasia.
Gaio Valerio Catullo Carmen 42
Adeste, hendecasyllabi, quot estis
omnes undique, quotquot estis omnes.
Iocum me putat esse moecha turpis
et negat mihi nostra reddituram
pugillaria, si pati potestis.
Persequamur eam, et reflagitemus.
Quae sit, quaeritis: illa, quam videtis
turpe incedere, mimice ac moleste
ridentem catuli ore Gallicani.
Circumsistite eam, et reflagitate:
'Moecha putida, redde codicillos,
redde, putida moecha, codicillos'.
Non assis facis? O lutum, lupanar,
aut si perditius potest quid esse.
Sed non est tamen hoc satis putandum.
Quod si non aliud potest, ruborem
ferreo canis exprimamus ore.
Conclamate iterum altiore voce:
'Moecha putida. redde codicillos,
redde, putida moecha, codicillos'.
Sed nil proficimus, nihil movetur.
Mutanda est ratio modusque nobis,
si quid proficere amplius potestis:
'Pudica et proba, redde codicillos'.
Restituiscimi i versetti lurida cagna
Accorrete, endecassilabi, quanti voi siete
da ogni luogo tutti, tutti quanti, ovunque voi siete.
Una disgustosa puttana pensa ch’io sia il suo zimbello
e si rifiuta di ridarmi i nostri versetti,
se solo voi poteste tollerarlo.
Inseguiamola, e non diamole tregua.
Chi mai sia, voi chiedete: quella, che vedete
incedere turpe, sembra un pagliaccio e con quella boccaccia
dalla risata molesta par essere un cucciolo di cane di Gallia.
Circondatela, e non datele tregua:
'Fetida d’una puttana, restituisci i versetti,
restituiscili tutti, puttana putrefatta'.
Te ne freghi? Oh che zozza, che gran troia,
la più degenerata che possa esistere.
Ma credo che questo non sia ancora sufficiente.
Se non altro che noi la si possa far bruciare di vergogna,
quella cagna dura come il ferro.
Strillate ancora, urlate più forte:
'Fetida d’una puttana, restituisci i versetti,
restituiscili tutti, puttana putrefatta'.
Ma niente, non si ottiene niente, nulla la smuove.
È ragionevole per noi cambiar metodo e maniera,
se vogliamo sperare di ottener qualcosa:
'O fonte d’immacolata bontà casta e pura, ridammi i versetti'.
Catullo si riferisce a Lesbia, che evidentemente la tradiva e lui, non riuscendo a tollerarlo, pretende allora la restituzione delle poesie d’amore che le aveva dato, e chiama a sé tutti i suoi versetti, invoca tutta la sua fantasia poetica, per poterla offendere quanto più possibile.
Codicillus, i: diminutivo di codex; codicillo; tavoletta in legno ricoperta di cera utilizzata per appunti provvisori.
Gaio Valerio Catullo Carmen 56
O rem ridiculam, Cato, et iocosam
dignamque auribus et tuo cachinno.
ride quicquid amas, Cato, Catullum:
res est ridicula et nimis iocosa.
deprendi modo populum puellae
trusantem: hunc ego, si placet Dionae,
pro telo rigida mea cecidi.
È stato un attimo
Oh che situazione ridicola, Catone, e divertente tanto
che merita tu l’ascolti e ne possa sghignazzare fragorosamente.
Non importa che tu ne rida, Catone, se vuoi bene a Catullo:
è una cosa comica e veramente bizzarra.
Ho incontrato un tipetto nel mentre ch’era intento a ficcarlo
in una fanciulla: io, a Venere piacendo,
col mio dardo ritto, è stato un attimo, l’ho inculato.
Dione, es oppure Diona, ae: Dione; Titanina figlia dell’Oceano e di Teti oppure di Etere e di Gea oppure madre di Venere. Anche usato per indicare Venere stessa.
Telum, i: giavellotto, arma, asta; dardo; in doppio senso membro virile.
Truso, are: intensivo di trudo; ficcare, spingere con forza.
Caedo, cecidi, caesum, caedere: spaccare, fare a pezzi, conficcare, inculare.
Gaio Valerio Catullo Carmen 58
Caeli, Lesbia nostra, Lesbia illa,
illa Lesbia, quam Catullus unam
plus quam se atque suos amavit omnes,
nunc in quadriviis et angiportis
glubit magnanimos Remi nepotes.
Lesbia pompinara
Lesbia, la mia Lesbia, Celio, quella Lesbia,
proprio lei, la sola che Catullo mai abbia amato
più di sé stesso e d’ogn’altra cosa a lui cara,
agl’angoli delle strade e nel buio dei vicoletti
ora scappella i cazzi della fiera gioventù romana.
1] Caeli: Celio; potrebbe trattarsi dell’amico Celio di cui al Carme 100 oppure del Celio dei carmi 69, 71 e 77, quel Marco Celio Rufo amante della Clodia - Lesbia cui si riferisce la Pro Caelio, un’orazione che Marco Tullio Cicerone tenne il 4 aprile del 56 a.C., orazione che rappresenta uno dei massimi esempi di oratoria ciceroniana; Clodia accusa in tribunale Celio di un tentativo di avvelenamento e Cicerone per difendere l’amico Tullio Celio probabilmente esagerando descrive questa Clodia, la stessa Lesbia amata ed odiata da Catullo circa dal 59 al 57 a.C., come una matrona romana gaudente e dedita alla prostituzione desiderosa di vendicarsi di Celio per essere stata lasciata.
4] Quadrivius, ii: quadrivio, crocicchio, incrocio di quattro vie.
Angiportum, i: ango + portus: via stretta, secondaria, chiassetto; vicolo; stradina stretta ed opprimente, stradino riservato.
in quadriviis et angiportis: Catullo intende probabilmente indicare tanto le strade ampie e frequentate da molta gente quanto i vicoli secondari e deserti: dappertutto, ovunque le capiti.
5] glubo, glupsi, gluptus, ere: sgusciare, scorzare, sbucciare, pelare, spellare, scrostare; in particolare si riferisce alla decorticazione di grano o orzo; in senso traslato la traduzione non oscena che viene solitamente data in questo contesto è: derubare, privare, cavar la pelle a, spremere, alludendo quindi al compenso in denaro dato in cambio della prestazione sessuale fornita da Lesbia oppure alludendo allo stato di prostrazione e spossatezza dei clienti dopo gli incontri in cui Lesbia li strapazzava; è tuttavia probabilmente più corretto considerare glubere nel suo significato originario di decorticare, sgusciare, scorzare le spighe dei cereali per farne uscire il seme come evidente metafora di un atto tipicamente compiuto durante la pratica della fellatio: scappellare o scappucciare il pene.
Magnanimus, a, um: (magnus + animus) magnanimo, generoso; valoroso, audace, coraggioso; baldanzoso, spavaldo, sfacciato, impudente, sfrontato; insolente, protervo; borioso, arrogante, superbo, fiero, tronfio; millantatore, altisonante, ampolloso.
Glubit Magnanimos Remi Nepotes: scortica i magnanimi nipoti di Remo; i nipoti di Remo sono i discendenti di Romolo e quindi tutti i liberi cittadini romani; riferendosi al rapporto pater-nepos, zio-nipote, solitamente si mette anche in evidenza la differenza di età tra il giovane nipote e l'anziano zio, per cui ho preferito tradurre nepotes Remi come allusione ai giovani aristocratici romani più che all'intera popolazione romana; il magnus rende per magnanimus, oltre al classico significato di generoso o magnanimo, numerosi significati negativi che danno il senso della sarcastica condanna morale di Catullo nei confronti di quei giovani romani che frequentavano prostitute e tenevano comportamenti smodati, egocentrici e narcisisti dando così prova della loro decadenza morale.
Gaio Valerio Catullo Carmen 74
Gellius audierat patruum obiurgare solere,
si quis delicias diceret aut faceret.
Hoc ne ipsi accideret, patrui perdepsuit ipsam
uxorem et patruum reddidit Harpocratem.
Quod voluit fecit: nam, quamvis inrumet ipsum
nunc patruum, verbum non faciet patruus.
Lo zio di Gellio
Gellio aveva udito lo zio esser solito strepitare,
se qualcuno raccontava di voluttuosi godimenti o li praticava.
Per non esser snervato anche lui da questo, si scopò sua moglie
e lo rese così personificazione stessa del silenzio.
Ottenne quel che voleva: ora infatti, se pure ficcasse il cazzo
in bocca allo zietto, lui non direbbe una parola.
objurgo, avi, atum, are: biasimare, riprendere, rimproverare, garrire; maltrattare, punire;
Harpocrates: Arpocrate; divinità del silenzio originaria della mitologia egizia e inserita poi tra le divinità greco romane; era l’immagine stessa del silenzio, solitamente rappresentata come un fanciullo col la punta del dito indice poggiata sulle labbra indicando la bocca a suggerire il suo silenzio;
Gaio Valerio Catullo Carmen 80
Quid dicam, Gelli, quare rosea ista labella
hiberna fiant candidiora nive,
mane domo cum exis et cum te octava quiete
e molli longo suscitat hora die?
nescio quid certe est: an vere fama susurrat
grandia te medii tenta vorare viri?
sic certe est: clamant Victoris rupta miselli
ilia et emulso labra notata sero.
Le candide labbra di Gellio
Come puoi, Gellio, spiegare perché queste tue labbrucce rosee
divengono più candide della neve d’inverno,
quando alla mattina esci di casa o quando nel primo pomeriggio
delle lunghe giornate estive ti ridesti dal pigro riposo?
Per certo non saprei come avvenga: ma potrebbe esser vero, qualcuno lo sussurra,
che sei un divoratore di quell’enorme arnese ch’esce dall’inguine di un uomo?
è così, di sicuro: lo gridano la schiena rotta di Vittorio,
pover’uomo, e le tue labbra segnate dal latte che hai succhiato.
octava hora: corrisponde alle 14.00-15.00
Gaio Valerio Catullo Carmen 88
Metrica: Distico elegiaco
Quid facit is, Gelli, qui cum matre atque sorore
prurit et abiectis pervigilat tunicis?
Quid facit is, patruum qui non sinit esse maritum?
Ecquid scis quantum suscipiat sceleris?
Suscipit, o Gelli, quantum non ultima Tethys
nec genitor nympharum abluit Oceanus:
nam nihil est quicquam sceleris, quo prodeat ultra,
non si demisso se ipse voret capite.
Gellio scellerato
Come chiamare, Gellio, quello che si arrapa con madre e sorella
e buttati all’aria i vestiti rimane sveglio tutta la notte?
Come chiamarlo, quello che non consente allo zio d’esser marito?
Esiste un modo perché tu possa comprendere quanto scellerato sia il suo agire?
Una azione, Gellio, che non Teti lontana al di là d’ogni cosa
e neanche Oceano padre delle ninfe potrebbero lavare:
dato che nessuno conosce una qualunque depravazione che possa superar questa,
neanche se, chinato il capo, si succhiasse il suo stesso cazzo.
Teti: sorella e sposa di Oceano, figlia di Gea ed Urano; in questo contesto da intendere come il mare stesso;
ipse voret: divorasse, ingurgitasse, ingoiasse sé stesso;
Gaio Valerio Catullo Carmen 89
Gellius est tenuis: quid ni? Cui tam bona mater
tamque valens vivat tamque venusta soror,
tamque bonus patruus, tamque omnia plena puellis
cognatis, quare is desinat esse macer?
Qui ut nihil attingat, nisi quod fas tangere non est,
quantumvis quare sit macer invenies.
Gellio è smagrito
Gellio è smagrito: e come non potrebbe? Con una madre così gradevole
e dalle abitudini tanto gagliarde e una sorella tanto attraente,
e uno zio tanto semplice, e con tutte quelle sue numerose cognatine
fanciulle, perché mai dovrebbe cessar d’essere uno scheletro?
Anche se non palpasse altro, se non quel che non è lecito toccare,
non c’è molto da fantasticare sul perché sia così macilento.
ni: ne, arcaico;
quid ni?: come non?, perché non?
tenuis,e: tenue, sottile; gracile, magro;
Gaio Valerio Catullo Carmen 94
Mentula moechatur, moechatur mentula; certe
hoc est, quod dicunt: ipsa olera olla legit.
Cazzo adultero
Cazzo adultero, adultero d’un cazzo; certo così è,
per quanto dicono: la pentola sceglie da sé le sue verdure.
Il cazzo è propenso all’adulterio, se diamo credito al detto che ogni pentola sceglie da sé le sue verdure, cioé se è vero, come è vero, che ogni pentola, per forma e dimensioni, è adatta ad un qualche tipo di verdura e non ad altre: è nella natura delle cose.
Di più con Mentula Catullo si riferiva a Mamurra, corrotto praefectus fabrum di Cesare in Gallia e Britannia, e quindi affermava essere nella natura stessa delle cose che Mamurra fosse un adultero in termini politici, arricchendosi personalmente grazie alla sua posizione di potere e tradendo la fedeltà dovuta al popolo romano.
Gaio Valerio Catullo Carmen 97
Non (ita me di ament) quicquam referre putavi,
utrum os an culum olfacerem Aemilio.
Nilo mundius hoc, nihiloque immundius illud,
verum etiam culus mundior et melior:
nam sine dentibus est: os dentis sesquipedalis,
gingivas vero ploxeni habet veteris,
praeterea rictum qualem diffissus in aestu
meientis mulae cunnus habere solet.
Hic futuit multas et se facit esse venustum,
et non pistrino traditur atque asino?
Quem si qua attingit, non illam posse putemus
aegroti culum lingere carnificis?
Emilio faccia di culo
Che gli dei mi perdonino per questo, ma non avevo idea a cosa riferire,
se alla bocca o al culo di Emilio, l’odore che sentivo.
Solitamente nulla è più pulito di questa, e nulla è più sudicio di quello,
ma in verità il suo culo è più pulito e più gradevole:
almeno è senza denti: la bocca ha zanne lunghe un piede e mezzo,
con gengive che assomigliano di più a un vecchio carretto,
e in aggiunta quand’è aperta è tal quale
la fica rotta d’una mula in calore mentre piscia.
Lui ne fotte molte e crede d’esser bello,
e non dovrebbe andare a lavorare alla mola con l’asino?
Quella che ci si strofina, non sarebbe forse capace
di leccare il culo d’un boia infetto?
A mio avviso questa è la più oscena, in senso iperbolico e non soffermandosi alla sfera sessuale, fra tutte le poesie di Catullo; nei 4 ultimi versi la volgarità che Catullo comunica è accresciuta dalla forma interrogativa ed evidentemente è una volgarità assolutamente e definitivamente provocatoria; probabilmente, almeno in italiano, i versi sarebbero resi in modo lievemente più gentile togliendo la forma interrogativa:
Lui che ne fotte molte e crede d'esser bello
dovrebbe andar a lavorare alla mola con l'asino e
quella che ci si strofina, sarebbe anche capace
di leccare il culo d'un boia infetto.
Gaio Valerio Catullo Carmen 98
In te, si in quemquam, dici pote, putide Victi,
id quod verbosis dicitur et fatuis:
ista cum lingua, si usus veniat tibi, possis
culos et crepidas lingere carpatinas.
Si nos omnino vis omnes perdere, Victi,
hiscas: omnino quod cupis efficies.
La lingua di Vezio
A te, e a nessun altro, si può ben dire, Vezio fetente,
quel che si dice a pomposi logorroici e idioti:
con codesta lingua, se ne dovessi aver bisogno, potresti
leccar culi e ciabatte di cuoiaccio grezzo.
E se ci vorrai schiantar del tutto in un sol colpo, Vezio,
apri la bocca: quel che desideri l’otterrai pienamente.
si in quemquam: se a qualcuno mai; reso con: e a nessun altro;
crepida, ae: pianella, che si adatta ad ambedue i piedi; sandalo;
carpatinus, a, um: di cuoio grezzo, rozzo, rustico;
Gaio Valerio Catullo Carmen 111
Aufilena, viro contentam vivere solo,
nuptarum laus e laudibus eximiis;
sed cuivis quamvis potius succumbere par est,
quam matrem fratres (te parere) ex patruo.
La virtù di Aufilena
Viver contenta con un solo uomo, Aufilena,
d’ogni amata è la lode fra le lodi la più eccellente;
ma è al pari preferibile giacere con chi e quanto più ti piace,
piuttosto che esser madre con lo zio e partorir cugini.
Gaio Valerio Catullo Carmen 112
Multus homo es, Naso, neque tecum multus homo est qui
descendit: Naso, multus es et pathicus.
Nasone
Grand'uomo che sei Nasone, e non è un grand'uomo chi ti apre
il culo:
tu, Nasone, sei un grande e un frocio pigliainculo.
multus, a, um: relativamente a una moltitudine: molti, molti uomini; relativamente a una quantità intensiva: molto, grande, forte, importante; riguardo al modo: discendere al foro, spesso i politici scendevano al foro per tenere un comizio ossia per parlare al popolo e ai suoi elettori, e in tal senso si utilizzava il vebo descendere; riguardo al modo di procedere: importuno, molesto: qui in aliquo genere aut inconcinnus aut multus est - Cicerone quindi per derivazione: multus es et pathicus: ti prostituisci a molti;
multus ricorre tre volte nei due versi ed essendo suscettibile di numerose interpretazioni si hanno diverse traduzioni proposte: generalmente il primo multus è inteso come grand'uomo, uomo importante, potente, forte; una possibile traduzione proposta per gli altri multus è che Nasone fosse un politico; il secondo multus è a volte inteso come: non ci sono molti politici disposti a misurarsi in un comizio nel foro con te, a scendere nel foro per misurarsi con te;
descendo, sendi, scensum, ere: scendere, discendere, calare; curvarsi per lasciarsi violare; abbassarsi, piegarsi, umiliarsi; abbassarsi, penetrare, cadere a terra dall'alto, piombare sopra;
pathicus: maschio adulto non effeminato esclusivamente passivo.