Giovenale, Marziale ed altri: la vita nell'urbe.

Alcuni aspetti della vita nell'Urbe per il popolo romano che viveva nelle strade e nelle pericolose insulae:

Marziale

Marco Valerio Marziale (Marcus Valerius Martialis) (Augusta Bilbilis oggi Calatayud, Spagna tra 38 e 41 d.C. - stesso luogo tra 102 e 104 d.C.), fu un poeta latino noto per i suoi epigrammi, brevi poemetti satirici in cui con arguzia dissacrante prendeva di mira la vita cittadina e le attività scandalose che vi si svolgevano spesso criticando la società romana; era il poeta della città, e dalla vita cittadina traeva temi ed ispirazione; racconta la vita di tutti i giorni, degli anonimi cittadini dell'Urbe Caput Mundi e della vita della gente esplora ogni aspetto, ogni sentimento, ogni aneddoto, ogni fatto; fu uno dei pochi scrittori latini a dedicare alcuni componimenti a degli schiavi, normalmente completamente ignorati e che pure nella società romana rappresentavano la maggioranza della popolazione.
Completata la sua educazione si recò a Roma nel 64 d.C. e qui conobbe la notorietà potendosi assicurare i favori degli Imperatori Tito (dal 79 all'81) e Domiziano (dall'81 al 96); condusse una vita bohemienne, al servizio di diversi padroni come cliente (cliens) e sebbene scrittore famosissimo e molto letto non raggiunse mai quel benessere economico che gli consentisse un’autonomia finanziaria, dovendo sempre dipendere da qualche padrone per avere del denaro, mangiare e vestirsi.
Fu amico dei maggiori poeti del tempo, Plinio il Vecchio, Quintiliano e Giovenale mentre non ebbe alcun rapporto con Stazio, un poeta epico piuttosto distante dalla sua poesia.

Il suo primo libro fu il Liber Spectaculorum, in occasione dell’apertura del Colosseo sotto Tito. Con Domiziano imperatore creò 10 dei dodici libri di epigrammi; alla morte di Domiziano si conclude la dinastia Flavia e comincia con il breve principato di Nerva (96-98) il periodo degli Imperatori adottivi; nel 96 produce l’undicesimo libro sotto Nerva; con Traiano nel 98 la situazione per lui cambiò ed avendo apparentemente delle difficoltà economiche ormai insostenibili decise di tornare in Spagna ove, poco prima di morire, e soffrendo la mancanza della vita sociale e culturale di Roma, realizzò il suo ultimo libro di epigrammi.
Gli epigrammi con Marziale acquistano numerose sfumature, deviando dal classico utilizzo commemorativo per i defunti proprio della cultura greca, ed assumendo aspetti ironici, grotteschi e satirici, esaltati dal cambiamento repentino assunto spesso nei finali delle composizioni.
In gran parte dei suoi epigrammi utilizza una metrica distico elegiaca.


Biblioteca Augustana - tutte le opere di Marziale in Latino.

Tertullian - Early Church Fathers Traduzione inglese di una gran parte degli epigrammi di Marziale.



Giovenale

Decimo Giunio Giovenale (Decimus Iunius Iuvenalis) (Aquino, Lazio intorno al 55 d.C., Roma dopo il 127 d.C.) fu un poeta satirico romano. Di lui ci restano 16 satire, l'ultima incompleta.

Giovenale - Satire - testo completo in latino
Juvenal - Satire - traduzione inglese




[traduzioni: fmsacca]
Non sono un latinista quindi perdonate i numerosi errori che sicuramente ho fatto.



i rumori notturni nell'antica Roma

Nel 45 a.C. Giulio Cesare promulgò la lex Julia Municipalis, che proibiva il transito dei carri all'interno delle mura durante il giorno; se questo migliorò la situazione della circolazione diurna, di contro la notte il rumore impediva a molti di dormire; solo chi abitava nelle ricche domus poteva godere della quiete notturna.

Martialis Epigrammaton IX.68

1 Quid tibi nobiscum est, ludi scelerate magister,
Invisum pueris virginibusque caput?
Nondum cristati rupere silentia galli:
Murmure iam saevo verberibusque tonas.
5 Tam grave percussis incudibus aera resultant,
Causidicum medio cum faber aptat equo;
Mitior in magno clamor furit amphitheatro,
Vincenti parmae cum sua turba favet.
Vicini somnum - non tota nocte - rogamus:
10 Nam vigilare leve est, pervigilare grave est.
Discipulos dimitte tuos. Vis, garrule, quantum
Accipis ut clames, accipere ut taceas?

Marziale IX.68 - il maestro di scuola

1 Cos'hai a che fare con me, insensato maestro,
omuncolo inviso a bambini e fanciulle?
I crestati galli ancor non hanno rotto il silenzio
e di già tu sussurri feroce e fai risonar le bacchettate.
5 Così esasperante il metallo riecheggia sull'incudine percossa,
mentre il fabbro adatta al cavallo (la statua dell') avvocato Causidico;
più moderato (giunge) il gran clamore dall'anfiteatro in delirio,
quando l'eccitata folla acclama il suo (prediletto) vittorioso.
Qui, il vicinato, vorrebbe - non tutta la notte - dormire:
10 ché vegliare è piacevole, ma farlo per l'intera notte è faticoso.
Congeda i tuoi alunni. Quel che prendi per i tuoi proclami,
fastidioso chiaccherone, lo prenderai per tacere?

Si percepisce l'antipatia che Marziale ha per i maestri di scuola; in realtà i veri rumori potevano essere il fabbro che batteva il ferro per modellarlo od anche il clamore della folla che assisteva allo spettacolo nell'Anfiteatro Flavio, che distava 2000 metri dalla casa di Marziale; il fastidio per il maestro era più psicologico che reale.
1] Quid tibi nobiscum est: cosa vuoi da me; Ovidio aveva già usato una frase simile: Quid mihi vobiscum est.
2] Caput: letteralmente testa; da intendersi come persona, creatura, individuo.
6] Adatta l'avvocato al cavallo; un piccolo scherno per i monumenti equestri agli avvocati; vedi anche Giovenale VII.128.
11-12] Vis...accipere: accetterai.



Martialis Epigrammaton X.74

1 Iam parce lasso, Roma, gratulatori,
Lasso clienti. Quamdiu salutator
Anteambulones et togatulos inter
Centum merebor plumbeos die toto,
5 Cum Scorpus una quindecim graves hora
Ferventis auri victor auferat saccos?
Non ego meorum praemium libellorum
- Quid enim merentur? - Apulos velim campos:
Non Hybla, non me spicifer capit Nilus,
10 Nec quae paludes delicata Pomptinas
Ex arce clivi spectat uva Setini.
Quid concupiscam quaeris ergo? Dormire.

Marziale X.74 - Oh Roma, fammi dormire

1 Ora, o Roma, abbi pietà per uno stanco cliente, grato,
ma esausto. Per quanto ancora dovrò salutare mescolato
a servi accompagnatori e ad insignificanti clienti
per racimolare cento monete di piombo in un intero giorno,
5 quando Scorpo in una sola ora, se vince, rimedia
quindici sonanti sacchi di scintillante oro?
A premio dei miei libretti - cosa contano in fondo? -
non (desidero) i campi della Apulia,
non Ibla, e neanche i cereali portati dal Nilo,
10 né quella dolce uva che dagl'impervi declivi
setini guarda alle paludi pontine.
Cosa dunque ardentemete desidero (mi) chiedi? Dormire.


2] salutator: si riferisce alla salutatio matutina rivolta dai clientes al loro patronus;
3] anteambulones: schiavi che precedevano il padrone per pulirgli la strada; vedi anche John Murray, A Dictionary of Greek and Roman Antiquities, London 1875 - anteambulones;
8] Apulia: Puglia;
9] Ibla: una colonia greca in Sicilia;
11] setini: in italiano setini, abitanti di Sezze (Setia).



Martialis Epigrammaton XII.57

1 Cur saepe sicci parva rura Nomenti
Laremque villae sordidum petam, quaeris?
Nec cogitandi, Sparse, nec quiescendi
In urbe locus est pauperi. Negant vitam
5 Ludi magistri mane, nocte pistores,
Aerariorum marculi die toto;
Hinc otiosus sordidam quatit mensam
Neroniana nummularius massa,
Illinc balucis malleator Hispanae
10 Tritum nitenti fuste verberat saxum;
Nec turba cessat entheata Bellonae,
Nec fasciato naufragus loquax trunco,
A matre doctus nec rogare Iudaeus,
Nec sulphuratae lippus institor mercis.
15 Numerare pigri damna quis potest somni?
Dicet quot aera verberent manus urbis,
Cum secta Colcho Luna vapulat rhombo.
Tu, Sparse, nescis ista, nec potes scire,
Petilianis delicatus in regnis,
20 Cui plana summos despicit domus montis,
Et rus in urbe est vinitorque Romanus
Nec in Falerno colle maior autumnus,
Intraque limen latus essedo cursus,
Et in profundo somnus, et quies nullis
25 Offensa linguis, nec dies nisi admissus.
Nos transeuntis risus excitat turbae,
Et ad cubilest Roma. Taedio fessis
Dormire quotiens libuit, imus ad villam.

Marziale XII.57 - a Sparso

1 Perché, mi domandi, io mi rinchiuda nel piccolo arido podere
nomentano e desideri il sudicio focolare della mia casa di campagna?
A Roma, o Sparso, per un povero non esiste luogo né per pensare
né per riposare (in pace). La mattina i maestri di scuola,
5 la notte i fornai e per tutto il giorno
i calderai rendon la vita impossibile:
di qua l'ozioso cambiavalute scuote il
sudicio tavolo col mucchio di (monete) Neroniane,
di là il battitore pesta col lucido mazzuolo
10 la frantumata pietra aurifera di Spagna;
e non si placa la fanatica turba della dea Bellona,
e non smette di ciarlare il naufrago avvolto nelle bende,
né d'elemosinare il giudeo istruito dalla madre,
e neanche di gridar cessa il cisposo venditore ambulante di zolfanelli.
15 Chi può enumerare le interruzioni d'un indolente sonno?
Ti dirà quante mani battano in città vasi di bronzo
quando la luna tagliata (dall'eclisse) è colpita dalla magica ruota della Colchide.
Tu, Sparso, ignori questo, né puoi capirlo,
dedito ai piaceri nel confortevole palazzo di Petilia,
20 dove una sontuosa casa ti fa contemplare dall'alto la cima dei monti,
e che possiedi un terreno in Roma ed un vignaiolo romano,
ed una vendemmia non superata neanche sul colle di Falerno,
ed un ingresso alla tua casa così ampio da far passare un carro,
e che dormi in un luogo recondito, dove lingua alcuna
25 può turbar la quiete, ed il sole non è ammesso se tu non lo desideri.
Io son svegliato dal riso della folla che passa (per la strada),
e l'intera Roma è presso il mio letto. Quando son stanco
dei fastidi e desidero dormire, mi reco al mio podere.


Iuvenalis Satura III.232-238

Plurimus hic aeger moritur vigilando (sed ipsum
languorem peperit cibus inperfectus et haerens
ardenti stomacho); nam quae meritoria somnum
235 admittunt? magnis opibus dormitur in urbe.
inde caput morbi. raedarum transitus arto
vicorum in flexu et stantis convicia mandrae
eripient somnum Druso vitulisque marinis.

Giovenale Satira III.232-238 - I rumori della notte

La maggior parte degli infermi qui (in Roma) muore cercando di dormire
(ma la malattia stessa è provocata dal cibo non digerito
a causa dello stomaco febbricitante); ma chi si può concedere il
235 meritato sonno? in Roma si dorme a caro prezzo.
E così la gente si ammala. Il transito dei carri
negli stretti vicoli contorti e le imprecazioni ai buoi che non si muovono
porterebbero via il sonno al Druso e financo ad un vitello di mare.

238] il Druso: si riferisce al sonnolento imperatore Claudio (Tiberius Claudius Drusus) che soffriva di numerosi mali (forse epilessia); la sua attitudine ad addormentarsi in ogni luogo pubblico lo resero oggetto di scherno; vedi anche Svetonio, Vita Divi Claudi, 8 e 33;




Il caos ed i pericoli nell'Urbe

Giovenale nella satira III ci ha lasciato una divertente descrizione dell'incredibile caos che regnava all'interno delle mura di Roma e dei tremendi pericoli che si correvano camminando per i suoi vicoli, di giorno e di notte.
Di giorno la ressa in talune strade, come ad esempio alla Suburra, era tale che praticamente non si poteva procedere se non spostandosi in massa, non era possibile procedere più velocemente e al contempo la gente spingeva da dietro, tutti pressati nella ressa, le gambe piantate nel fango e martoriate dai pestoni; oltre alla gran folla sulle strade erano numerosissimi i banchetti dei venditori ambulanti che complicavano ulteriormente la circolazione; si capisce allora perché fu promulgata la Lex Iulia Municipalis, che almeno toglieva dalla circolazione durante il giorno una gran parte dei carri. Tuttavia i personaggi più influenti potevano continuare a far uso del carro e soprattutto i carretti adibiti al trasporto del materiale per la costruzione dei templi e di ogni edificio sacro potevano circolare anche di giorno; permanevano quindi sulle strade trasporti di grossi carichi ad esempio di legname o di pietre da costruzione. Poteva allora accadere qualche incidente e chi moriva ad esempio sotto ad un carico di marmo rovesciatosi da un carro avrebbe potuto financo rimaner insepolto.
Di notte poi i pericoli aumentavano: dalle finestre piovevano vasi e vassoi rotti che potevano cogliere sulla testa i passanti al punto che prima di uscire la sera era cosa saggia secondo Giovenale far testamento e si doveva sperare di ricevere sulla testa solo il contenuto dei catini; il sistema delle fognature non arrivava ai piani superiori e quindi veniva tutto raccolto in catini; se pure era proibito vuotarli dalle finestre, pure molti facevano così per evitare di dover fare le scale. Ma il rischio principale era quello di venir coinvolti da una rissa con qualche ubriaco attaccabrighe, alla cui furia, simil a quella del pelìde Achille alla notizia della morte del suo più caro amico Patroclo, era solitamente difficile sottrarsi. Ed ancora le risse erano il meno in quanto poteva facilmente accadere di esser rapinati e di ricevere a tradimento una coltellata; infatti periodicamente le guardie armate presidiavano le zone fuori Roma frequentate da bande di ladroni e così tutti i criminali che trovavano rifugio nella palude pontina e nella pineta gallenaria si riversavano a Roma, quasi fosse una riserva di caccia, e Giovenale invidia allora gli antichi tempi dei Re, quando per Roma era sufficiente un sol carcere.



Marzialis Epigrammaton V.22

nei versi 5-9 scrive:

[...]
devo superare l'alto sentiero scosceso della Suburra
e le pietre (del selciato) sudicie di passi mai asciutti,
e a stento mi è concesso di spezzare le lunghe file di muli
e superare i blocchi di marmo che vedi trascinare con molte funi. [...]


epigramma completo



Iuvenalis Satura III.239-267

si vocat officium, turba cedente vehetur
240 dives et ingenti curret super ora Liburna
atque obiter leget aut scribet vel dormiet intus;
namque facit somnum clausa lectica fenestra.
ante tamen veniet: nobis properantibus obstat
unda prior, magno populus premit agmine lumbos
245 qui sequitur; ferit hic cubito, ferit assere duro
alter, at hic tignum capiti incutit, ille metretam.
pinguia crura luto, planta mox undique magna
calcor, et in digito clavus mihi militis haeret.
Nonne vides quanto celebretur sportula fumo?
250 centum convivae, sequitur sua quemque culina.
Corbulo vix ferret tot vasa ingentia, tot res
inpositas capiti, quas recto vertice portat
servulus infelix et cursu ventilat ignem.
scinduntur tunicae sartae modo, longa coruscat
255 serraco veniente abies, atque altera pinum
plaustra vehunt; nutant alte populoque minantur.
nam si procubuit qui saxa Ligustica portat
axis et eversum fudit super agmina montem,
quid superest de corporibus? quis membra, quis ossa
260 invenit? obtritum volgi perit omne cadaver
more animae. domus interea secura patellas
iam lavat et bucca foculum excitat et sonat unctis
striglibus et pleno componit lintea guto.
haec inter pueros varie properantur, at ille
265 iam sedet in ripa taetrumque novicius horret
porthmea nec sperat caenosi gurgitis alnum
infelix nec habet quem porrigat ore trientem.


Giovenale Satira III.239-267 - Il caos ed i pericoli di Roma. Il giorno

Quando il ricco è chiamato (a svolgere) i suoi obblighi, la folla (gli) cede
240 il passo e la smisurata liburna corre sopra le teste
e nel frattempo all'interno (egli) legge o scrive od anche dorme;
poiché la lettiga con la tenda chiusa induce il sonno.
Nondimeno arriverà prima: a me l'onda della folla che mi precede
impedisce d'andar velocemente, e l'intero popolo radunato
245 che segue mi pressa sui lombi; uno mi dà una gomitata, un altro mi ferisce
con la dura sbarra (della portantina), questo mi colpisce alla testa con una trave, e quell'altro con un'anfora.
I piedi (rimangon) piantati nel fango, ed in un istante enormi suole mi calpestan da ogni lato,
ed un soldato mi pianta saldamente nel dito (del piede) il chiodo (della sua calzatura).
Non vedi che gran fumo per ricevere la sportula?
250 Cento convitati, e ognuno col suo proprio supporto per la cucina.
Lo stesso Corbulo sosterrebbe a stento sul capo il peso di così tanti vasi
enormi, e di tutti quegli arnesi posti sulla testa, che quel giovane sfortunato
schiavetto trasporta col capo eretto mentre anche corre a ravvivare il fuoco.
Le tuniche appena rammendate si strappano a pezzi, scuotendo il carro
255 avanza un lungo abete, e su un altro carretto vien portato un pino;
oscillano da quell'altezza e (intanto) minacciano la gente.
Se poi l'asse (di quella biga) che sostiene quel marmo ligure cedesse
e rovesciasse (il suo carico) spandendolo (sulla folla) come un fiume (sparge l'acqua) dal monte,
cosa (mai) resterebbe dei corpi? Chi sarebbe capace di ritrovar le membra? Chi rintraccerebbe le
260 ossa (stesse dei malcapitati)? Il cadavere del poveraccio spappolato e calpestato si disperde in ogni dove
nello stesso modo del suo soffio vitale. Nel frattempo nella (sua) casa tranquillamente (servi e familiari) di già lavano i piatti
e ravvivano il fuoco soffiandovi sopra mentre i raschietti stridono sull'untuosa mensa e riempite le ampolle vi si predispongono le coperture di lino.
Questi preparativi sono velocemente eseguiti dai ragazzi, mentre quel poveraccio
265 di già siede sulla riva (dell'Acheronte) e da novizio è terrorizzato dall'infame
traghettatore (Caronte) sventurato per non poter sperare sulla sua barca di betulla onde passare quei
furiosi gorghi fangosi, non potendo porgere dalla sua bocca l'obolo (per il transito).



240] Liburna: veloce nave da guerra diffusasi nel I secolo a.C.; ...il poeta visionario immagina forse la lettiga che vola sopra le teste come una veloce nave da guerra (?).
249] Sportula: Cibo o denaro offerto dal Patronus ai suoi clientes nella Salutatio Matutina.
250] Centum convivae... : cento clienti, ognuno con appresso uno o più schiavi che trasportano fornelli e fuochi per mantenere in caldo il cibo che il patronus elargisce.
251] Corbulo: Generale dell'esercito romano sotto Claudio e Nerone famoso per la sua possenza fisica. Guidò vittoriosamente la guerra contro i Parti dal 55 al 63 d.C. e si uccise per ordine di Nerone nel 67.
254] Serraco: serracum o sarracum, carro agricolo dotato di ruote pesanti e con pareti laterali e posteriore.
255] Plaustra: carretto agricolo a due ruote.
257] saxa Ligustica: Marmo Ligure - ovvero il marmo Lunense; Luni apparteneva alla Liguria prima di essere incorporata nell'Etruria sotto Augusto.
261] Anima: è il soffio vitale o soffio di vento. Invece Animus è l'animo cogitante. Cic. 283, 6 inter animam et animum et spiritum et mentem hoc interest, quod anima, qua vivimus, animus, quo regimur, spiritus, quo spiramus; mens qualitas est aut bona aut mala, quae ad cogitationem potest referri. Non. 689 L. animus est quo sapimus, anima qua vivimus.
261] patella: piccolo vassoio di forma piatta utilizzata per cuocere o servire gli alimenti.
263] striglibus: strigile - raschietto a lama ricurva utilizzato per raschiar via l'unto.
263] guto] ampolla di vetro col collo stretto utilizzata per olio o vino od altri liquidi.
267] Solo i morti che ricevevano gli adeguati rituali funebri, tra i quali spesso, ma in effetti non sempre, si poteva anche includere il rituale della moneta posta nella bocca del morto, potevano passare il fiume Acheronte traghettati sulla barca di Caronte (in alcune versioni il fiume Stige) e raggiungere quindi gli Inferi, ove le loro ombre potevano trovare pace per l'eternità; talvolta, più raramente, l'obolo poteva esser posto sugli occhi del morto, utilizzando quindi due monete.Tale usanza venne introdotta a Roma dalla Grecia nel III secolo a.C.. Se il morto non aveva l'obolo, o, in altri termini, se non aveva ricevuto le corrette onoranze funebri, restando ad esempio insepolto, come il disgraziato considerato ad esempio da Giovenale nella sua satira, allora la sua ombra era condannata a girovagare disperata per l'eternità tra le nebbie di questo fiume paludoso e fangoso; una sorta di inferno ante litteram; mentre gli Inferi dei romani pagani sembrano invece esser quasi il paradiso dei Cristiani, o quantomeno un luogo di non sofferenza.
267] trientem: la terza parte - il Triente era una moneta di un terzo di un asse, il cui valore era praticamente nullo.



Iuvenalis Satura III.268-314

Respice nunc alia ac diversa pericula noctis:
quod spatium tectis sublimibus unde cerebrum
270 testa ferit, quotiens rimosa et curta fenestris
vasa cadant, quanto percussum pondere signent
et laedant silicem. possis ignavus haberi
et subiti casus inprovidus, ad cenam si
intestatus eas: adeo tot fata, quot illa
275 nocte patent vigiles te praetereunte fenestrae.
ergo optes votumque feras miserabile tecum,
ut sint contentae patulas defundere pelves.
Ebrius ac petulans, qui nullum forte cecidit,
dat poenas, noctem patitur lugentis amicum
280 Pelidae, cubat in faciem, mox deinde supinus:
[ergo non aliter poterit dormire; quibusdam]
somnum rixa facit. sed quamvis inprobus annis
atque mero fervens cavet hunc quem coccina laena
vitari iubet et comitum longissimus ordo,
285 multum praeterea flammarum et aenea lampas.
me, quem luna solet deducere vel breve lumen
candelae, cuius dispenso et tempero filum,
contemnit. miserae cognosce prohoemia rixae,
si rixa est, ubi tu pulsas, ego vapulo tantum.
290 stat contra starique iubet. parere necesse est;
nam quid agas, cum te furiosus cogat et idem
fortior? "unde venis" exclamat, "cuius aceto,
cuius conche tumes? quis tecum sectile porrum
sutor et elixi verecis labra comedit?
295 nil mihi respondes? aut dic aut accipe calcem.
ede ubi consistas: in qua te quaero proseucha?"
dicere si temptes aliquid tacitusve recedas,
tantumdem est: feriunt pariter, vadimonia deinde
irati faciunt. libertas pauperis haec est:
300 pulsatus rogat et pugnis concisus adorat
ut liceat paucis cum dentibus inde reverti.
Nec tamen haec tantum metuas; nam qui spoliet te
non derit clausis domibus postquam omnis ubique
fixa catenatae siluit compago tabernae.
305 interdum et ferro subitus grassator agit rem:
armato quotiens tutae custode tenentur
et Pomptina palus et Gallinaria pinus,
sic inde huc omnes tamquam ad vivaria currunt.
qua fornace graves, qua non incude catenae?
310 maximus in vinclis ferri modus, ut timeas ne
vomer deficiat, ne marra et sarcula desint.
felices proavorum atavos, felicia dicas
saecula quae quondam sub regibus atque tribunis
viderunt uno contentam carcere Romam.


Giovenale Satira III.268-314 - I pericoli notturni di Roma.

Considera ora gli altri e differenti pericoli della notte:
dalle abitazioni coi tetti torreggianti (cadon) vassoi di terracotta
(che ti)
270 colpiscon la testa (rompendotela), e spesso dalle finestre piovon vasi
crepati ed inutilizzabili, di una tal dimensione che il peso segna e lesiona
i massi di selce (della strada). Se ti rechi a cena
senza aver fatto testamento,
potresti esser considerato uno sciocco ed uno sconsiderato (non pensando
di poter subire) un improvviso incidente: è in agguato la morte,
275 da ognuna di quelle finestre aperte (da cui) osservano i
l tuo passaggio.
Perciò esprimi una speranza ed una pietosa preghiera,
affinché si contentino di versarti addosso solo il contenuto dei lor catini.
Un ubriaco prepotente, che per puro caso non ha ancor accoppato alcuno,
preso dalle pene, passa una notte di sofferenze come quella di Achille che piange il suo
280 amico, giacendo ora faccia in giù, e immediatamente dopo sdraiato supino:
[veramente per certa gente non v'è altro modo per dormire]
(a costoro) una rissa concilia il sonno. Ma per quanto reso perfido dagli anni
e svuotato dallo schietto vino che lo brucia questi si mantiene alla larga da chi indossa
un mantello di lana scarlatta ed è accompagnato da una lunghissima schiera di servitori,
285 provvisti di numerose torce e di bronzee lanterne.
Con me, che son solito farmi condurre dalla luna od eventualmente dalla fioca luce
d'un moccolo, di cui regolo e controllo (con parsimonia) lo stoppino,
(è con me che lui) se la prende. I disgraziati ben conoscono come inizia la rissa
se si può parlar di rissa, quella dove tu colpisci, e sol'io vengo pesantemente percosso.
290 Si pianta di fronte e ti ordina di fermarti. Obbedire è inevitabile;
cos'altro fare infatti, quando te lo impone un folle e quello è molto
più forte? 'D'onde vieni?' urla, 'Di chi (è) l'aceto, di chi
le fave con cui ti sei rimpinzato? Qual ciabattino ha masticato con te
fette di porro e testina di montone castrato bollito?
295 Non mi rispondi nulla? Parla o ti prendo a calci.
Dove ti rintani a mangiare: in qual sinagoga posso cercarti?'
Se balbetti una qualunque cosa od anche tenti di sgaiattolar via in silenzio,
è lo stesso: son sempre botte, e dopo, inferociti,
pretendono una cauzione (da te). La libertà del poveraccio è questa:
300 bastonato e schiantato dai pugni chiedere ed implorare affinché
gli sia concesso di andar via da lì con (almeno) qualche dente (ancora in bocca).
Nondimeno non c'è da aver paura sol di questo; infatti, (una volta che) le case
(son) chiuse, e dopo che ovunque gl'ingressi di tutte le taverne ormai silenziose
sono assicurati saldamente dalle catene, spunta chi ti deruba (d'ogni cosa).
305 Ed anche talvolta il bandito risolve la cosa immediatamente con una lama:
infatti tutte le volte che per sicurezza le guardie armate presidiano
la palude Pontina e la pineta Gallinaria,
allora da quei luoghi tutti (i briganti) corrono a (Roma, come fosse) una riserva (di caccia).
Qual fornace, qual incudine (ormai) non forgia massicce catene?
310 Per lo più producon ceppi di ferro, e c'è quasi il timore che
possano scarseggiare i vomeri, e che (le produzioni di)
zappe e sarchie sian tralasciate.
Fortunati gli avi ed i loro antenati, e felici puoi ben dir
quei tempi andati quando sotto ai re ed ai tribuni
Roma vedeva un sol carcere di contenzione.





280] Pelìde: dalla mitologia greca, semidio meglio noto come Achille, figlio del mortal Pelèo, da cui l'appellativo pelìde e della nereide (ninfa marina) Teti; fu un eroe della guerra di Troia ed uno dei protagonisti dell'Iliade di Omero. Quando Patroclo, il suo più caro amico fu ucciso dal troiano Ettore, Achille, afflitto dal dolore, errò a lungo sulla riva del mare gridando ed invocando la divina madre Teti, che emerse dalle acque e lo consolò; successivamente assetato di vendetta Achille, alla ricerca di Ettore per vendicar l'amico, compie una strage tra i nemici troiani; trovò infine Ettore, lo uccise e lo trascinò per nove giorni legato dietro al suo carro facendone scempio.
311] vomer: vomere - aratro.
marra: zappa con lama piatta.
sarcula: sarchia o sarchiello (piccolo) o sarchiatore (grande); una sorta di rastrello dotato di tre soli rebbi lunghi e ricurvi a forma di artiglio con in cima una punta atta a penetrar meglio il terreno, utilizzata per la sarchiatura, ovvero per incidere superficialmente il terreno onde farlo respirare e liberarlo dalle erbe infestanti.


Seneca Epistulae morales ad Lucilium, liber VI epistula 56.1-6
Probabilmente le terme cui si riferisce Seneca non stavano a Roma ma a Baia; comunque si riferisce ai rumori molesti provenienti da un bagno pubblico.

Seneca Lucilio suo salutem
1 Peream si est tam necessarium quam videtur silentium in studia seposito. 2 Ecce undique me varius clamor circumsonat: supra ipsum balneum habito. 3 Propone nunc tibi omnia genera vocum quae in odium possunt aures adducere: cum fortiores exercentur et manus plumbo graves iactant, cum aut laborant aut laborantem imitantur, gemitus audio, quotiens retentum spiritum remiserunt, sibilos et acerbissimas respirationes; cum in aliquem inertem et hac plebeia unctione contentum incidi, audio crepitum illisae manus umeris, quae prout plana pervenit aut concava, ita sonum mutat. 4 Si vero pilicrepus supervenit et numerare coepit pilas, actum est. 5 Adice nunc scordalum et furem deprensum et illum cui vox sua in balineo placet, adice nunc eos qui in piscinam cum ingenti impulsae aquae sono saliunt. 6 Praeter istos quorum, si nihil aliud, rectae voces sunt, alipilum cogita tenuem et stridulam vocem quo sit notabilior subinde exprimentem nec umquam tacentem nisi dum vellit alas et alium pro se clamare cogit; iam biberari varias exclamationes et botularium et crustularium et omnes popinarum institores mercem sua quadam et insignita modulatione vendentis.



Seneca, lettere a Lucilio VI.56.1-6

Seneca saluta il suo Lucilio
1 Che mi venga un colpo se (non è vero che) il silenzio durante lo studio (in un luogo) appartato è tanto necessario quanto la vista. 2 Ecco, clamori tra i più vari risuonano da ogni lato intorno a me: abito (infatti) sopra i bagni delle terme. 3 Ti descrivo ora tutti quei generi di suoni che risultano odiosi alle (mie) orecchie: quando i più forti si esercitano (con i pesi) e con la mano gettano via il pesante piombo, e faticano o fan finta di faticare, odo un gemito, e ogni volta che rilasciano il fiato, gli sbuffi ed il respiro affannoso; quando (capitano) quelli più pigri e con unguenti gli schiavi alleviano loro la tensione, odo i colpi secchi (dati) con le mani sulle spalle, che mutano il suono, a seconda che (il colpo) sia dato con la mano piana o concava. 4 Se poi arriva quello che (vuol giocare e) comincia a contare i colpi dati alla palla, allora è finita. 5 Aggiungi ora gli attaccabrighe e i ladruncoli colti sul fatto e quello a cui piace (ascoltare) la sua voce mentre fà il bagno, e aggiungi a questo il rumore di coloro che saltano nella piscina spostando una gran massa d'acqua. 6 Oltre a tutte queste, che se non altro restan voci normali, pensa al depilatore che per farsi notare grida con la vocetta stridula né mai tace se non quando strappa i peli e costringe gli altri a strillare al suo posto; ed ancora i vari gridi di quelli che vendono le bevande e le salsicce e i crustulari e tutti gli altri che nelle botteghe espongono le lor merci proponendole ognuno con una propria particolare modulazione della voce.

4] pilicrapus: colui che gioca o si allena utilizzando una palla (pila); l'uso della palla per giocare o per la ginnastica fu sempre diffuso nel mondo greco e romano.
6] alipilus: schiavo addetto alla depilazione (delle ascelle) dei bagnanti




la casa di Marziale

Marziale abitava nella Regio VII in una insula situata nella contrada chiamata al Pero (epigrammaton I.117, sulle prime alture del Quirinale intorno a dove oggi sono via Rasella - Piazza Barberini, e dalla sua casa poteva vedere gli orti di Agrippa (epigrammaton I.108), situati in Campo Marzio nei pressi delle omonime terme, che erano situate sul retro del Pantheon.

L'insula era l'analogo dei nostri moderni condomini; solitamente aveva quattro piani, ma poteva arrivare fino anche a dieci piani; le strutture murarie erano in laterizi, ma moltissime strutture e le sopraelevazioni erano in legno e spesso le varie insule erano a contatto, il che rendeva facile la propagazione degli incendi; Augusto limitò per legge l'altezza delle insulae a 70 piedi, ma erano tollerate sopraelevazioni in legno.
Al piano terra erano solitamente delle botteghe destinate agli artigiani; gli appartamenti di maggior pregio erano al primo piano e mano a mano che si saliva di piano erano più economici, in quanto più faticosi da raggiungere (si pensi ad esempio che per procurarsi l'acqua e per svuotare le bacinelle occorreva scendere al livello della strada) ed erano anche più pericolosi in quanto gli incendi erano frequentissimi, visto l'ampio uso di legno nei fabbricati ed il fatto che il fuoco era utilizzato per riscaldarsi, per prepararsi da mangiare, e per l'illuminazione; una volta scoppiato l'incendio chi si trovava nei piani superiori si accorgeva con molto ritardo del pericolo e spesso restava bloccato all'interno.
Inoltre le insule erano spesso oggetto di speculazioni, per cui chi le costruiva ad esempio poteva cercare di risparmiare sul materiale da costruzione; quindi anche i crolli di queste strutture avvenivano piuttosto di frequente.
L'imperatore Nerone adottò una serie di misure atte a ridurre i pericoli della propagazione degli incendi, realizzando, dopo l'incendio del 64, strade più ampie, palazzi senza mura in comune, porticati sul lato frontale verso la strada in modo da aumentare la distanza tra i palazzi, grandi piazze pubbliche, un ampio utilizzo di muratura in opera quadrata di peperino, pietra che ha proprietà ignifughe.




Marzialis Epigrammaton I.108

1 Est tibi - sitque precor multos crescatque per annos -
Pulchra quidem, verum transtiberina domus:
At mea Vipsanas spectant cenacula laurus,
Factus in hac ego sum iam regione senex.
5 Migrandum est, ut mane domi te, Galle, salutem:
Est tanti, vel si longius illa foret.
Sed tibi non multum est, unum si praesto togatum:
Multum est hunc unum si mihi, Galle, nego.
Ipse salutabo decuma te saepius hora:
10 Mane tibi pro me dicet havere liber.

Marziale I.108

1 Tu possiedi una splendida casa - ed imploro che sia tua
e possa ingrandirsi per molti anni a venire - ma in verità è al di là del Tevere:
mentre la mia soffitta guarda ai giardini di Agrippa,
ed ormai in questa regione stò divenendo vecchio.
5 Perché io possa venire a porti il mio saluto mattutino, o Gallo, dovrò cambiar residenza:
e tu meriteresti tanto, anche se la tua casa fosse più lontana.
Ma per te sarebbe cosa di poco conto, se un sol togato si aggiungesse (ai numerosi altri):
molto sarebbe per me, Gallo, se io unicamente non venissi.
Personalmente ti porgerò frequentemente il mio saluto alla decima ora:
10 La mattina il (mio) libro ti darà il buongiorno a nome mio.

3] Vipsanas laurus: Lauri di Vipsanio ovvero i giardini di Vipsanio Agrippa, che erano posti a fianco alle terme di Agrippa, ubicate sul retro di quello che oggi è il Pantheon.
4] Marziale abitava nella VI Regio Augustea chiamata Alta Semita, corrispondente in prima approssimazione al Mons Quirinalis.
7] togatus: togato, nella fattispecie i togati sono clienti che si recano alla salutatio matutina del Patronus.
9] decuma hora: alla decima ora; contando le ore dall'alba corrsiponde al primo pomeriggio, circa alle 4 del pomeriggio.




Marzialis Epigrammaton I.117

Occurris quotiens, Luperce, nobis,
'Vis mittam puerum' subinde dicis,
'Cui tradas epigrammaton libellum,
Lectum quem tibi protinus remittam?'
5 Non est quod puerum, Luperce, vexes.
Longum est, si velit ad Pirum venire,
Et scalis habito tribus, sed altis.
Quod quaeris propius petas licebit.
Argi nempe soles subire letum:
10 Contra Caesaris est forum taberna
Scriptis postibus hinc et inde totis,
Omnis ut cito perlegas poetas.
Illinc me pete. Nec roges Atrectum
- Hoc nomen dominus gerit tabernae -:
15 De primo dabit alterove nido
Rasum pumice purpuraque cultum
Denaris tibi quinque Martialem.
'Tanti non es' ais? Sapis, Luperce.

Marziale I.117 a Luperco

Ogni volta che ci incontriamo, Luperco,
immediatamente (mi) dici 'vuoi che mandi il mio servo,
in modo che tu possa dargli il (tuo) libretto di epigrammi,
che dopo aver letto prontamente ti restituirò?'
Non c'é motivo, Luperco, di affliggere il (tuo) servo.
È lontano, se vuol venire al Pero,
ed abito al terzo piano, ma gli scalini son di quelli alti.
Ciò che vuoi puoi ottenerlo più facilmente.
Sicuramente sei solito recarti all'Argileto:
di fronte al Foro di Cesare stà una piccola bottega
ai cui stipiti dell'ingresso per l'intera altezza
stanno delle scritte che brevemente citano tutti i poeti.
Lì chiedi di me. Non appena domandi Atrectum
- questo il nome del padrone della botteguccia -
dal primo o dal secondo scaffale per cinque denari
ti darà un Marziale preso dal gruppo
lisciato con la pomice ed ornato di (rossa) porpora.
'Non vali tanto' tu dici? Hai colto nel segno, Luperco.


ad Pirum: Marziale abitava in Roma in una zona chiamata "al Pero".
Argi...letum: Argiletum, una via di Roma antica posizionata dove oggi è il tratto finale di via della Madonna dei Monti, nei pressi del Foro.




Marzialis Epigrammaton V.22

nei versi 3 e 4 scrive:

[...]
Ma io sto' ad abitare vicino alla colonna tiburtina,
da dove l'agreste Flora vede l'antico (tempio di) Giove:
[...]


epigramma completo



Vivere nell'insula - le case

Marzialis Epigrammaton I.86 - De Novio Microspico

1 Vicinus meus est manuque tangi
De nostris Novius potest fenestris.
Quis non invideat mihi putetque
Horis omnibus esse me beatum,
5 Iuncto cui liceat frui sodale?
Tam longe est mihi quam Terentianus,
Qui nunc Niliacam regit Syenen.
Non convivere, nec videre saltem,
Non audire licet, nec urbe tota
10 Quisquam est tam prope tam proculque nobis.
Migrandum est mihi longius vel illi.
Vicinus Novio vel inquilinus
Sit, si quis Novium videre non volt.

Marziale I.86 il vicino di casa

1 Novio è il mio vicino e dalle mie finestre
con la mano si può toccare.
Chi non mi invidia e non ritiene
ch'io sia beato ad ogni istante,
5 potendo godere d'un tanto intimo compagno?
È tanto lontano da me quanto Terenziano,
che ora amministra le Siene della Nillica.
Non (possiamo) banchettare (insieme), e neanche vederci,
e non poss'io udirlo, né in tutta Roma
10 c'è chi mi sia tanto vicino e pur tanto lontano.
Devo emigrar più lontano o io o lui.
Se non desideri di veder Novio
devi esser vicino di Novio, o suo inquilino.





I dottori

il Medico nel I secolo imperiale a Roma non era troppo ben considerato; infatti in questo primo periodo imperiale era solitamente di provenienza greca e si improvvisava dottore, un po' come il dottor Dulcamara di Belliniana memoria potendo passare da quel mestiere ad altri totalmente differenti, quali gladiatore, o becchino, e su questo aspetto ironizza Marziale.

Martialis Epigrammaton I.30

Chirurgus fuerat, nunc est vispillo Diaulus.
Coepit quo poterat clinicus esse modo.

Marziale I.30 - Diaulo I

Diaulo fu chirurgo, ora è becchino.
Cominciò ad esser clinico nel modo che potè.

2] Clinicus: dottore che presta assistenza al malato allettato


Martialis Epigrammaton I.47
Nuper erat medicus, nunc est vispillo Diaulus:
Quod vispillo facit, fecerat et medicus.

Marziale I.47 - Diaulo II

Diaulo era un medico, ora è becchino:
quel che (ora) fà da becchino, già lo fece da medico.


Martialis Epigrammaton V.9

Languebam: sed tu comitatus protinus ad me
Venisti centum, Symmache, discipulis.
Centum me tetigere manus aquilone gelatae:
Non habui febrem, Symmache, nunc habeo.

Marziale V.9 - Simmaco

Non stavo bene: ma tu, Simmaco, prontamente venisti
da me, accompagnato da cento discepoli.
Cento mani gelate dalla Tramontana mi palparono:
non avevo febbre, Simmaco, ora ce l'ho.


2] Discipulus: discepolo; in questo contesto studente tirocinante;
3] Aquilone: vento secco e freddo proveniente da Nord, Nord-est, anche noto col nome greco di Borea; a partire dal medioevo e fino ai nostri giorni è chiamato Tramontana.


Martialis Epigrammaton VI.53

Lotus nobiscum est, hilaris cenavit, et idem
Inventus mane est mortuus Andragoras.
Tam subitae mortis causam, Faustine, requiris?
In somnis medicum viderat Hermocraten.

Marziale VI.53 - incubo

Ha fatto il bagno con noi, ha cenato di buon umore, ed ecco
stamane Andragora è stato ritrovato stecchito.
La causa d'una morte sì repentina mi chiedi, Faustino?
In sogno gli apparve Ermòcrate, il dottore.



Martialis Epigrammaton VIII.74

Oplomachus nunc es, fueras opthalmicus ante.
Fecisti medicus quod facis oplomachus.

Marziale VIII.74 - l'oculista

Ora sei oplòmaco, prima eri oftàlmico.
Facesti da medico quel che fai da gladiatore.

Oplomachus: gladiatore equipaggiato con elmetto dotato di semplice cresta, alto parastinchi, scudo tondo, lancia e daga, la corta spada romana.



Martialis Epigrammaton IX.96

Clinicus Herodes trullam subduxerat aegro:
Deprensus dixit 'Stulte, quid ergo bibis?'

Marziale IX.96

Erode, il dottore, ruba una tazza ad un infermo:
Colto sul fatto dice: 'Sciocco, a cosa ti serve ora bere?'



I Maestri di scuola

Il maestro di scuola era pagato mensilmente dagli stessi genitori che gli affidavano i bambini; la scuola era attiva solo da novembre a giugno.
Marziale appare piuttosto critico coi loro metodi didattici.


Marzialis Epigrammaton V.84

Di già il fanciullo tristemente abbandona le noci
richiamato dalle urla del maestro
...


Marzialis Epigrammaton IX.29, Epitaphium Philaenis

...
5 Ah qual lingua è ora muta, ahimè! Quella (lingua) non poteva esser sopraffatta
...
dalle ricciolute truppe dei mattutini maestri di scuola,


vedi epigramma completo IX.29



Marziale epigramma IX.68
Il maestro di scuola


Martialis Epigrammaton X.62

Ludi magister, parce simplici turbae:
Sic te frequentes audiant capillati
Et delicatae diligat chorus mensae,
Nec calculator nec notarius velox
5 Maiore quisquam circulo coronetur.
Albae leone flammeo calent luces
Tostamque fervens Iulius coquit messem.
Cirrata loris horridis Scythae pellis,
Qua vapulavit Marsyas Celaenaeus,
10 Ferulaeque tristes, sceptra paedagogorum,
Cessent et Idus dormiant in Octobres:
Aestate pueri si valent, satis discunt.


O maestro di scuola, fai a meno della naturale frenesia (degli scolari):
così che (più in là) numerosi capelloni possano ascoltarti
e la schiera del raffinato convivio apprezzarti,
e che né il matematico né il veloce scrivano che sia
possa circondarsi di un più vasto circolo.
Le radiose giornate sono ardenti nella infuocata costellazione del leone
ed il rovente luglio matura la messe essiccata.
L'orrida frusta di cuoio scitico sfrangiato,
con cui fu percosso Marsia Celeno,
e la dolorosa bacchetta, scettri dei pedagoghi,
restino inoperose e dormano fino alle Idi di ottobre:
in estate i ragazzi se stanno bene, qualcosa l'imparano.


11] Marsyas, ae: Marsia, nome maschile.
12] Satis discunt: letteralmente: imparano abbastanza.


Martialis Epigrammaton XII.57

Marziale XII.57

...
A Roma, o Sparso, per un povero non esiste luogo né per pensare
né per riposare (in pace). La mattina i maestri di scuola,...
...


vedi epigramma completo XII.57



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23 settembre 2012